Alcune cose su di lui

Galleria del Deposito
Il Deposito e la città

Temo di non avere personalmente molto di più da dire sul rapporto tra la Galleria del Deposito e la città, cioè Genova. Io mi occupavo della galleria e della cooperativa solo nel mio tempo libero, dopo il lavoro all’Italsider, che mi impegnava molto.

In galleria ci andavo la sera e sabato – domenica, se potevo.

Chi teneva i rapporti con il pubblico, e poteva tastare il polso ai genovesi, era Paolo Minetti, direttore della galleria. E Carmi, naturalmente, che conosceva tutti.

Io posso solo raccontare qualche episodio personale. Uno, per esempio, che non riguarda il tempo della galleria, ma è di pochissimi anni prima.

E’ un episodio che penso possa servire a dare un’idea del grado di familiarità della gente comune con l’arte contemporanea, che poteva esserci cinquanta e anche quarant’anni fa. A Genova come in qualsiasi altra città.

Negli anni ’50 io facevo il giornalista. Dirigevo la sede ligure dell’agenzia ANSA. E tutti gli anni , a Natale, mi divertivo a mandare agli amici e ai notabili genovesi un biglietto d’auguri particolare, con un’illustrazione artistica che sceglievo io e che mi facevo stampare. Adesso si può scegliere tra centinaia di biglietti di ogni genere, ma allora no.

A me piaceva molto Paul Klee, uno degli artisti messi al bando dal nazismo per la sua “arte degenerata”, entartete Art, come la chiamavano, e che erano stati appena “riabilitati”. Avevo visto la piccola ma raffinata mostra che gli aveva dedicato la prima Biennale di Venezia del dopoguerra. E avevo trovato proprio a Genova, nella libreria Di Stefano, un libricino che riuniva alcuni dei suoi affascinanti disegni. Era un libricino tedesco, edito a Wiesbaden nel 1953. In Italia non si stampavano ancora cose del genere.

Mi aveva colpito in particolare uno di quei disegni. Era del 1927 e si intitolava Aktivität der Seestadt (Attività della città di mare). Una città tracciata con i segni quasi infantili ma sapientissimi dello stile inconfondibile di Klee. Il tema mi sembrò adatto per Genova, così lo feci riprodurre e a Natale lo mandai in giro.

Passate le feste, arrivarono i ringraziamenti. Tra tutti spiccava una busta con questo indirizzo:

EGREGIO SIGNOR PAUL KLEE
AGENZIA ANSA
VIA DANTE, 4
GENOVA

Il biglietto era, mi pare, di un alto funzionario del Comune o addirittura del Vicesindaco, non mi ricordo bene.

Benché io abbia qualche dubbio che il mittente conoscesse Klee, sono certo che non era lui il responsabile dell’indirizzo sulla busta, evidentemente dovuto alla solerte segretaria che lo aveva copiato a macchina dal mio biglietto, confondendomi, bontà sua, con l’autore del disegno.

Oggi a Genova, come sapete bene, c’è un liceo artistico intitolato a Paul Klee e nei sottopassi stradali si vedono riproduzioni di sue opere eseguite dagli studenti di quel liceo. E nelle stanze di non poche segretarie sono appesi, senza problemi di “arte degenerata”, poster di Klee che si comperano per pochi Euro nelle cartolerie, assieme a quelli di Kandinsky e di Mondrian, i tre colleghi mistici dell’arte astratta che volevano, come ricorda Gombrich, “ lacerare il velo frapposto all’apparenza sensibile, per giungere a una più alta verità”.

L’aneddoto può servire, come dicevo prima, a dare un’idea del livello di informazione sull’arte contemporanea negli anni ’50, a Genova come in tante, in tutte le città.

Nel ’63, pochi anni dopo, quando si aprì la Galleria del Deposito, le cose non dovevano essere molto cambiate e noi sentivamo di dover collaborare, appunto, a cambiarle.

Sono cambiate nei tempi più lunghi di 40 anni trascorsi da allora? Non occorre un esperto di sociologia dell’arte o della cultura per confermarlo. A me sembra che le comuni conoscenze dell’arte siano cambiate com’è successo al comune senso del pudore. I canoni, i modelli di riferimento sono radicalmente mutati. Nessuno (o quasi) si scandalizza di un seno nudo e anche di più, così come nessuno (o quasi) si scandalizza più di un’opera astratta. I seni nudi esibiti liberamente sono entrati, come le pitture astratte, nell’orizzonte percettivo normale delle persone.

E’ il cosiddetto “spirito del tempo” che è cambiato e tutti, più o meno consapevolmente, si sono adeguati, ci siamo adeguati. Se questo sia un bene o un male non sta a me giudicare. Se i poster di Klee e compagnia siano diventati icone del nostro tempo e abbiano una valenza che ha solo marginalmente a che fare con l’arte, è un discorso che lascio agli studiosi della cultura di massa.

Ma non starò qui ad annoiarvi di più sul rapporto difficile tra qualità e popolarità dell’arte, né sui criteri estranei alla qualità che spesso determinano, oggi come ieri, il successo di un artista e anche di una corrente artistica.

E torno alla nostra galleria, per sottolineare con forza che noi ci occupavamo non di arte, ma di artisti. Scegliendo quelli che a noi sembravano esprimere qualcosa di valido, di originale, e quindi di nuovo, ma senza elevare il “nuovo” a feticcio della modernità.

Ci piaceva semplicemente il loro modo di “vedere” il mondo da un punto di vista nuovo, e questo ci sorprendeva, ci emozionava – e ci bastava.

Nel primo numero del nostro bollettino mensile annunciammo che avremmo cercato di scegliere artisti che fossero “espressione del nostro tempo”. Frase non certo nuova e nostra, che era stata già usata e fatta oggetto di attente analisi e messe a punto, molto prima di noi, da storici e critici dell’arte, anche per metterne in luce i possibili fraintendimenti, per far presenti i rischi di accogliere, sotto questo comodo mantello, ogni strafalcione.

Ma noi non volevamo essere semplici e imparziali cronisti che registrassero tutto ciò che gli artisti contemporanei esprimevano, nel bene e nel male. Volevamo scegliere, additare, far conoscere solo alcune personalità artistiche e trovare conferma della loro validità. Questo abbiamo cercato di fare, assumendocene la responsabilità, e a distanza di tempo pare che abbiamo quasi sempre imbroccato strade giuste.

E’ servito questo lavoro informativo della Galleria del Deposito ad aggiungere qualche piccola tessera al mosaico delle conoscenze artistiche dei genovesi? Credo – crediamo – di sì. Ma vi hanno contribuito anche altri: altre gallerie, i critici, la stampa, anche la televisione nei suoi momenti migliori (che oggi ci appaiono purtroppo lontani), e naturalmente i musei come Villa Croce.

Su un altro contributo della Galleria e della nostra Cooperativa di Boccadasse vale la pena di soffermarsi ancora un momento, anche per ricordarne originalità e importanza. Parlo della nostra produzione di opere grafiche e di oggetti moltiplicati a costi contenuti, per renderli accessibili ad un pubblico di amatori più vasto e nuovo. Nelle stanze del Museo troverete gli esempi che siamo riusciti a rintracciare, circa il 50 per cento delle cose fatte.

Questo fu certamente il contributo più originale della galleria e ce ne sentiamo senza false modestie davvero orgogliosi.

In quante case genovesi sono presenti ancora oggi opere edite dal Deposito, firmate da Fontana, Caporossi, Max Bill, Carmi, Costantini, Luzzati, Pomodoro, Del Pezzo e tanti altri? Potrebbe essere interessante, a questo proposito, una piccola inchiesta: Anche per capire in che misura tali opere abbiano potuto contribuire ad affinare il gusto dei genovesi, prima che diventassero anch’esse (e questo pare sia un fenomeno irrimediabile), altre icone del nostro tempo.

Opere che hanno comunque illuminato le stanze dei genovesi con i colori, la fantasia, le idee dei migliori artisti della generazione degli anni ’60, in anticipo anche sui poster di Klee, Kandinsky e Mondrian. E allo stesso prezzo.