Frammenti autobiografici

La prima bici

P non riesce a ricordare quando gli hanno regalato la prima bicicletta. Andava già a scuola? Gli pare di sì, ma non ne è sicuro. P ha pochissimi ricordi della propria infanzia (può darsi che questa amnesia sia dovuta al fatto che ‘sorvola’ la vita e la sua attenzione si attiva raramente, magari su particolari che appaiono insignificanti a chi non sa). 

Pochi i frammenti che P ha in mente, al riguardo. È una piccola, vera bici nera adatta a un bambino. Prima, P ha avuto l’orsetto con le ruote e l’automobilina a pedali, ma non quei tricicli con le due ruotine di appoggio posteriori (forse non ci sono ancora), che si levano quando il bambino ce la fa a stare in equilibrio sulle due ruote più grandi.

P comincia a provare la bici nella deserta via Camozzini, davanti a casa, tenuto per il sellino dal papà. Ha l’impressione di aver imparato subito a stare in equilibrio e va un po’ avanti e indietro, dapprima incerto poi sicuro, sotto gli occhi molto soddisfatti del papà, mentre la mamma e il nonno assistono all’evento affacciati alle finestre alte della villetta a due piani, e approvano fieri e soddisfatti.

Un giorno, quando P si crede ormai padrone della bici e si permette qualche bravura, cade nella polvere della strada (all’asfaltatura, mancano ancora molti anni) e si sbuccia un ginocchio. Accorre in suo aiuto la mamma. È la prima ferita di cui P si ricordi e, al primo momento, con tutto quel sangue, appare a lui e probabilmente anche alla mamma, gravissima. P non riesce a rammentare nulla delle medicazioni: gli fanno l’antitetanica? Il terreno è cosparso di cacche dei cavalli e degli asini che trainano i carri dei contadini addetti alla coltivazione degli orti circostanti, ma P ha ancora negli occhi la crosta sul ginocchio, che avrà mostrato orgoglioso ai compagni di gioco.

Nessuna cicatrice resta a testimoniare il fatto. Un altro segno c’è, sul ginocchio destro, a guardar bene ancora con tracce di punti, ma risale a una sassata di molti anni dopo.

Qualche anno dopo aver scritto questo frammento, capita a P di sfogliare i suoi vecchi quaderni delle elementari e trova tra i compiti di casa di terza, in un tema su “L’oggetto che mi è più caro”, proprio la bicicletta. “Mi è stata regalata a 5 anni dal mio babbo il giorno di S. Lucia. Con la mia bicicletta mi sono molto divertito a correre sui viali del borgo insieme con i miei compagni.” (P non ricorda quali compagni avessero la bicicletta). Il tema accenna anche al “ruzzolone” per cui si ferì al ginocchio. “Dopo quella volta sono stato più attento e non sono più caduto nel correre. Giorni fa, però mentre pulivo la bicicletta sono rimasto con due dita impigliate fra la catena e l’ingranaggio e per fortuna me la sono cavata con una piccola ferita, ma però ho provato molto spavento”. E qui a P torna la memoria visiva di quel piccolo dramma: il sangue che gli sgorga da un polpastrello. “Ma nonostante le mie disavventure io voglio molto bene alla mia bicicletta”. All’inizio del tema, sotto la parola “Svolgimento”, c’è il disegno a matita di una biciletta: P vi riconosce con commozione la mano soccorrevole del papà.

Poi, sfogliano un altro quaderno, P ritrova una nuova descrizione dell’incidente, che evidentemente lo aveva molto colpito. Diario del 29.3.1934: “Oggi disgraziatamente mi sono ferito due dita della mano. Stavo accomodando la bicicletta quando ad un tratto la catena del pedale si mise a girare e mi portò le dita dentro la punta di un ingranaggio. La mamma mi ha lavato le dita con la benzina per cavarne il grasso poi mi ha disinfettato e mi ha fasciato.”