Frammenti autobiografici

Sulla stradetta, andando a scuola

P sta camminando sulla stradetta che conduce, attraverso i campi degli orti, alla scuola. Oggi lo accompagna la Gianna, la servetta che è entrata da poco a far parte della famiglia e che gli porta la cartella. Dentro c’è il libro di lettura, i quaderni e l’astuccio di legno col coperchio scorrevole, che custodisce le matite a colori cavate dalla testa del signor Presbitero, la cannuccia col pennino, la gomma bianco-azzurra per cancellare i segni sbagliati a matita o a inchiostro, e quell’affare di stoffa nera a forma di fiore con tre strati di petali, una novità che dovrebbe servire, come ha spiegato alla mamma il cartolaio, a pulire e asciugare i pennini sporchi d’inchiostro e anche a proteggerli dagli urti.

I quaderni sono quattro: minuta, bella copia, dettato, diario. Tutti amorosamente ricoperti dalla mamma con la carta velina trasparente, in modo che si vedano le figure in copertina: i capolavori dei Grandi Maestri dell’Arte Italiana, Giotto, Leonardo, Michelangelo, Raffaello eccetera. Anche il libro di lettura della Libreria dello Stato è rivestito allo stesso modo, e mostra in copertina i due balilla sorridenti a colori col braccio levato nel saluto romano e, sotto, il Fascio Littorio. Tanto che la mamma aveva pensato di ricoprirli con una carta normale, ma il papà ha detto lascia perdere, non è questo purtroppo il problema. Il cartolaio ha anche altri tipi di quaderni a scelta, con la fotografia del Duce a cavallo – sempre braccio teso nel saluto fascista -, o con Giovan Battista Perasso detto Balilla che scaglia il sasso, oppure con un elaborato disegno del Fascio e, sullo sfondo, atti di eroismo della Grande Guerra e muscolosi Lavoratori all’opera. Ma la mamma ha prudentemente preferito l’Arte o i paesaggi della nostra Italia e scritto su ogni quaderno, con la sua bella e ordinata calligrafia, nome e cognome di P in I e poi II classe eccetera.

Vanno avanti camminando spediti e intanto chiacchierano (chissà di che), fin che passano davanti all’ingresso del Cason, quel grande cascinale con le galline che becchettano nella corte. Vi abitano i contadini, che coltivano i tanti orti ancora sparsi attorno ai nuovi quartieri residenziali. Davanti al cancello di legno tenuto in piedi tra le siepi da due vecchie colonnette sbreccate di pietra, la Gianna sembra riscuotersi, la sua voce cambia e si ravviva, come se riconoscesse luoghi familiari del suo villaggio di montagna dal quale è scesa per venire ‘a servizio’ in città.

Guarda guarda, dice a P nel suo rustico dialetto, guarda: quello lì è il fienile e quelle là è la stalla per le bestie, come a casa mia. E P le sente nella voce un tono diverso dal suo solito parlare torpido, pieno di qualcosa che più tardi, ricordando, saprà essere un segno di struggente nostalgia.

Ma non c’è tempo di fermarsi, si prosegue, e ora la Gianna racconta a P di quando d’inverno tutti lassù nella loro corte si chiudono al tramonto a far filò nella stalla, l’unica stanza riscaldata dal calore di mucche, asini, pecore, capre e maiali. Le donne e le bambine filano la lana o rammendano al chiarore d’una lampada ad olio (nella stalla non c’è la luce elettrica arrivata da poco), gli uomini riparano gli arnesi di lavoro, uno intaglia nel legno col coltello teste umane o di animali da vendere alle fiere.

Per passare il tempo prima del sonno, qualcuno degli anziani rievoca e ricostruisce assieme ai coetanei, biascicando faticosamente, certi fatti importanti della vita sua e della corte: guerra, matrimoni, nascite, morte e avventure di una bestia. Sempre li stessi, con l’aggiunta ogni sera di qualche particolare dimenticato. Un giovanotto un po’ lazzarone ma estroso, che di tanto in tanto va giù in città a tirar su qualche soldo, narra storie diverse e meno noiose, incalzato soprattutto dalle donne e dai giovani. Per lo più aneddoti scherzosi, paradossali, mezzo veri e mezzo inventati, che fanno ridere la compagnia, specialmente le femmine, tanto che il narratore è esortato sempre a riraccontarli, e tutti sghignazzano come se fosse la prima volta che li sentono. C’è da prendere bonariamente in giro il vecchione un po’ smemorato, qualcuno per qualcosa che ha fatto il giorno stesso o ultimamente o qualche anno prima, la giovane coppia che sta segretamente smorosando e ognuno lo sa…Incoraggiato da mezze parole e allusioni, ci calca su con rozze metafore, e la ragazza che arrossisce aumenta l’allegria. Si ride sottovoce anche della vecchia beghina, che si scandalizza sempre di certi passi azzardati dal giovanotto (che a quanto capisce P dalle parole grossolane ma ammirate della Gianna, è il protagonista del filò), e che ogni sera, dopo che i bambini si sono addormentati (ma questo P lo saprà da più grande), aggiunge qualche piccante particolare nuovo. Poi vengono le filastrocche da dire a turno uno alla volta passandosi la parola (e deridendo chi sbaglia). E alla fine la vecchia bigotta attacca il Rosario, le litanie e le preghiere assolutorie, che tutti ripetono in coro prima di spegnere la lampada e di avviarsi e dormire.

Così, Gianna raccontando e P ascoltando, arrivano al termine della stradetta. Attraversano attenti il passaggio a livello del trenino del Lago, le altre rotaie del tram e la strada camionale. La Gianna restituisce la cartella a P e resta a guardarlo mentre entra con gli altri scolari nel portone aperto, che alla fine la bidella chiude accuratamente.