Frammenti autobiografici

Sulla stradetta, tornando a casa

Il portone si riapre a mezzogiorno al suono della campanella e i bambini, prima le femmine e poi i maschi, sciamano vociando, impazienti di smuovere le gambe imprigionate nei banchi per tante ore.

Ad aspettare P c’è di solito il nonno, che solleva il nipote del peso della cartella e chiede com’è andata. Bene, risponde sempre P e s’avviano, se non piove, verso la stradetta, qualche volta assieme a Giorgio, compagno vicino di casa, che va a scuola e torna da solo.

Ora c’è tempo per sostare lungo le siepi cercando qualche insetto nell’intrico dei sambuchi.

Nonno nonno, guarda, una coccinella!, esclama P, che allunga due dita e coglie delicatamente la gentile creatura rossa nascosta sotto una foglia.

Coccinella septempuctata, con sette punti neri, spero, che porta fortuna, dice il nonno che sa tutto, ma attento a non farle del male. Questo è un coleottero “buono”, che libera le piante dagli afidi parassiti, ma attenzione, che non ti spruzzi sulle dita il suo umore puzzolentissimo, veramente nauseabondo.

Perché la coccinella puzza?, chiede P, riposando subito l’insetto su una foglia e annusandosi le dita, che fortunatamente non puzzano.

Per difendersi dai predatori, soprattutto gli uccelli. Tutti gli insetti che hanno le elitre a colori vivaci, anzi, la livrea (si dice così, come gli abiti dei camerieri d’una volta e anche degli ambasciatori), sono puzzolenti e velenosi. È il loro modo di segnalare a tutti: attenzione, sono bello ma pericoloso, non toccatemi!

Peccato, con quel rosso e quei punti neri. A proposito, non ho guardato se erano sette. P cerca nel verde, ma la coccinella è sparita.

E perché i sette punti portano fortuna, nonno?

Mah, è un modo di dire, ci sono tante varietà di coccinelle che hanno da due fino a dieci punti. Qui io credo che ne abbiano tutte sette, ma non si sa mai.

Perché tutti quei punti?

Fa parte del segnale di pericolo, ma non chiederlo a me, bisogna chiederlo alla Natura, risponde il nonno, attento ad assegnare a chi spetta, secondo lui non credente, la responsabilità dell’esistere e dell’evoluzione delle specie.

Altri giorni, P trova, nascosti tra le foglie dei sambuchi più vicine a terra, insetti più grossi e sgradevoli, di colore marroncino. E il nonno spiega che sono sempre coleotteri, probabilmente maggiolini melolontha, divoratori soprattutto di radici, odiati dagli orticoltori perché ammazzano le piante.

P non li tocca certo, ma si porta a casa il loro ricordo e lo ritrova per un bel po’ la mattina, nelle croste del pane e dei biscotti che galleggiano nel caffelatte e sembrano proprio i melo…o come si chiamano. E la mamma si dispera: non mangia più nemmeno la prima colazione, speriamo nell’uovo sbattuto in tanto zucchero, sospira.

Delle camminate sulla stradetta ci sarebbero tante altre vicende da ricordare, ma P rammenta soprattutto di quella volta che infila il suo bastoncino tra i raggi della bici di uno dei rari ciclisti di passaggio. Il bastone, con la punta ferrata, risale all’estate in cui P passa con i suoi le vacanze in montagna. Tra i villeggianti è di moda imitare i locali sfoggiando rustici e robusti sostegni alle camminate, non solo nelle escursioni su sentieri scoscesi ma anche nelle passeggiate sui più comodi prati. Anche P vuole il bastone e il papà gliene compera uno adatto alla sua minuscola statura, assieme a un cappellino tirolese a cono, di panno verde con la piuma.

Al ritorno in città P continua a usare bastone e cappellino come fosse in montagna. Anche per andare a scuola. E una mattina, ad un tratto, chissà per quale estro, forse ricordando un duello visto al cinema in un film di cappa e spada, ‒zac!‒, prima che chi l’accompagna faccia a tempo a fermarlo, infila con un perfetto “a fondo”, il migliore che gli sia mai riuscito, la sua sciaboletta nei raggi della ruota di dietro di una bici che sta passando. La ruota si blocca strisciando nella polvere, il ciclista mette un piede a terra, si volge a osservare l’intralcio e poi P. Mentre l’accompagnatore (il nonno, o la Gianna?) rimprovera aspramente l’avventato spadaccino e chiede scusa al ciclista, questi non dice niente. Fissa severo P e scuote il capo. Poi districa l’ostacolo dai raggi, controlla che niente si sia rotto, butta la ‘spada’ a terra e si riavvia. Da allora a P è tassativamente proibito usare in città il bastoncino (tanto più che nell’impatto s’è un po’ incrinato).