Frammenti autobiografici

Al calcio con un “piccolo prodigio”

Via Ugo Bassi, dove P trascorre i primi venticinque anni della sua vita, è una strada breve, lunga nemmeno cento metri. Vi abitano dieci famiglie, cinque per lato. Dopo la casa di P, al numero 1, angolo Via Camozzini, vengono i Sancassani, i Lotto, i Cadoni, i Guzzo. E di fronte, ai numeri pari, i Tàmbalo, gli Zanetti, i Faggioni, i Sonato e i Pannunzio.

Ad entrambi gli sbocchi, la via dà sugli orti. Sulla campagna, insomma. L’erba cresce abbondante in primavera lungo i muretti e invade non solo i marciapiedi approssimativi ma tutto il fondo stradale di terra battuta. Ogni famiglia provvede di tanto in tanto a ripulire, nel tratto di competenza.

Rarissimi i veicoli (nessuna famiglia ha l’automobile e nemmeno la moto). Per andare al lavoro al centro, lontano più d’un quarto d’ora di cammino, qualche uomo usa la bicicletta, come il papà di P. Per le donne che vanno a piedi a far la spesa, i negozi più vicini sono a dieci minuti.

Via Ugo Bassi è un posto ideale per giocare al pallone. Si è formata una piccola squadra e ne fa parte anche P, di solito come ‘mediano’ in funzione anche di ‘difesa’.

Un giorno passa di lì un ragazzo più grande ma con i capelli tagliati alla ‘bebè’ e si ferma a guardarli calciare. Si avvicina e chiede se può giocare anche lui. Dall’accento si capisce che viene da fuori, parla veneto ma non veronese.  Difatti è veneziano, nato a Chioggia. Mi chiamo Bruno, dice, ma tutti mi chiamano Brunetto. Gioca ma soprattutto chiacchiera, è uno spirito allegro, scherza sui nomi curiosi delle calli di Venezia, Calle del Carbon, Calle del Frutarol, Calle de le Muneghe… Si distrae e perde qualche palla, ma è simpatico alla compagnia, e torna altre volte a giocare.

P racconta in casa del nuovo compagno Brunetto con i capelli alla ‘bebè’ e il papà dice: ma è quel bambino prodigio che ha diretto il concerto in Arena! Sì, conferma la mamma, viene spesso qui in via Aspromonte… e aggiunge qualcosa che P non capisce, parla di un ‘illegittimo’.

E P si ricorda di quando in casa, qualche anno prima, avevano parlato di quel piccolo fenomeno al quale il giornale aveva dedicato intere pagine, e dell’ammirazione di un amico del papà, primo violino dell’orchestra areniana: alle prove, Brunetto aveva fermato la musica, con l’autorevolezza di un direttore ‘grande’, per correggere lo sbaglio di un trombettista.

Allora, dice la mamma, si chiamava Rossato, che era il nome di suo padre, un musicista veneziano, che però non aveva sposato la sua povera mamma Carolina, morta quando Brunetto aveva pochi anni. Dopo non so cosa sia successo, ma per l’ultimo concerto qui a Verona ho letto sull’Arena che ha preso il nome della mamma, che di cognome si chiamava Maderna. Mi pare che adesso si stato adottato da quella sarta veronese, la Manfredi, che ha tanti soldi e che lo sta facendo studiare dal maestro Pedrollo.

Brunetto sposa dopo la guerra Raffaella, la sorella di Italo Tartaglia, carissimo compagno di scuola di P. Il quale non ha di lei un buon ricordo: disturbava sempre lui e il fratello quando studiavano e soprattutto quando giocavano. Prima o poi, pensa P, mi sa che Brunetto si stufa e la lascia. Difatti qualche anno dopo P viene a sapere che aveva pensato giusto.