Ai Palloncini
Se oggi pomeriggio continui a essere bravo come sei stato finora, stasera andiamo ai Palloncini a bere l’amarena.
Sìì!, esulta P facendo un balletto. E si propone di essere proprio bravo, oggi pomeriggio, per andare stasera ai Palloncini a bere l’amarena.
Così finisce i compiti delle vacanze, riordina i giocattoli e aiuta la mamma a staccare dai fili la biancheria del bucato messa fuori in giardino ad asciugare, a portarla in casa e a dividerla tra quella da stirare o da riporre.
E mentre lavorano, la mamma gli recita e continua a ripetergli la Primavera e l’Estate, finché P non le impara bene. E domani imparerai l’Autunno e l’Inverno, dice, e quando saprai tutto a memoria faremo sentire la poesia al papà.
Sì, anche come finisce, con la mamma che viene ridendo, dice P.
La mamma recita così bene, ma così bene con la sua chiara voce, quella bella poesia che si intitola La Primavera, ma che contiene anche le altre stagioni. È bravissima a dire ogni stagione in un modo diverso, che diventa l’allegria della primavera, e il caldo dell’estate, e l’autunno che sospira e poi l’inverno che trema col povero fringuello irrigidito. E alla fine, quando la mamma deposita ai piedi del bambino il suo cuore rosso con dentro un fiore, P sente tutto l’amore che la mamma gli vuole e corre commosso ad abbracciarla.
Ma non è vero che io dormo e non ti vedo come dici tu in fondo, protesta P atteggiando le labbra a una finta di pianto. Si stringe alla mamma, che ricambia l’abbraccio, e con l’orecchio appoggiato al suo petto ne ascolta il cuore che batte.
Al tramonto P dà da bere alle piante. E anche alla lattuga (che però, sinceramente, non gli piace).
Poi il papà torna in bicicletta dal lavoro, il suocero scende dalla sua camera e si cena.
Papà, dice P, oggi ho imparato a memoria due stagioni della poesia La Primavera.
Bravo, dice il nonno, sentiamole.
No, dice la mamma, P la reciterà tutta intera quando avrà finito di impararla.
Almeno i primi due versi… come comincia…, insiste il nonno.
P si alza compunto dalla sedia con il bavaglino al collo (è tra l’altro un pretesto per non mangiare quella schifosa minestra che incombe nel piatto). Allora:
Primavera vien…
No, lo interrompe la mamma. Ho detto al papà che la reciterai quando la saprai tutta. Siediti e finisci di mangiare la minestra.
Sì, quando la saprai tutta, intanto finisci di mangiare la minestra. Il papà ripete quasi una per una le parole della mamma.
E se non finisci tutta la minestra, ricatta la mamma, stasera niente Palloncini.
La mangio, la mangio, brontola P di malavoglia. Vieni anche tu, papà, ai Palloncini?
Vieni anche tu, ripete la mamma, o vai dai tuoi amici?
Un giro di scopone e poi vi raggiungo, dice il papà.
Ti aspettiamo prendendo il fresco, dice il nonno.
È già buio quando il papà dà un bacio al bambino, inforca la bicicletta e se ne va dagli amici.
P s’avvia piano verso i Palloncini, una mano alla mamma e una al nonno.
La mamma s’è messa il vestito elegante e leggero della bella stagione, che s’è cucita sul modello di quella rivista, e che le sta così bene. Il suocero ha il vestito grigio di grisaglia leggera che una volta era del figlio, un po’ accorciato sulla sua statura. Ha anche la cravatta, nonostante il caldo, e il panciotto che nasconde le bretelle e serve a portare nel taschino l’orologio con la catena agganciata a un bottone. Si veste come quando andava a lavorare alle Poste. Concessioni alla temperatura sono la giacca sul braccio e il cappello di paglia invece del feltro.
I Palloncini, per P, sono il luogo incantato dell’estate in città. Ci vuole un po’ per arrivarci, lungo le strade alberate del quartiere nuovo dove abitano, sorto tra gli orti oltre il fiume, poco prima che lui nascesse, come gli ha raccontato il nonno.
I Palloncini sono una propaggine estiva di un caffè, sul piazzale sopraelevato davanti alla stazione della ferrovia a scartamento ridotto che porta al Lago. Ne hanno fatto una specie di giardino, coperto da una pergola di rampicanti, e hanno appeso tra le foglie delle lampade colorate che ricordano a P i palloncini che galleggiano nell’aria attaccati a un filo. Di sera si vedono brillare da lontano, e a lui sembrano il posto delle favole e delle fate. I Palloncini non sono il nome del caffè, che è semplicemente il caffè della Stazione, ma in famiglia lo chiamano così, perché così una volta l’ha chiamato P.
Pochi tavolini sono occupati. Qualche famiglia, qualche coppia. In un angolo P vede una novità: un pianoforte chiuso. A cosa serve?, chiede al nonno.
Quest’anno, spiega il nonno, il sabato e la domenica c’è un’orchestrina che suona le canzonette. Le canta il pianista, mentre un trombettista dà il ritmo facendo battere il tamburo e i piatti col piede. Hanno ricavato uno spiazzo tra i tavolini per ballare. Però le sere di musica si paga un supplemento ed è per questo che noi veniamo solo negli altri giorni, quando c’è poca gente e si prende più tranquilli il fresco.
La mamma ordina due amarene col seltz e la cannuccia, mentre il nonno prende una birra piccola. Per P l’amarena è una bevanda meravigliosa, che gli riempie la bocca con quel suo gusto dolcissimo. Succhia molto piano, per assaporare meglio ma anche per prolungare l’attesa del momento magico il cui, in fondo al bicchiere, dopo le ultime rumorose succhiate, appaiono le due amarene scure.
Eccole! esclama il nonno, e porge al nipote il cucchiaino con cui potrà compiere il rito di estrarle dal bicchiere e di schiacciarle con la lingua contro il palato, e poi tra i denti, per trarne le ultime stille di dolcezza.
Ecco anche le mie, dice la mamma che ha finito di bere.
P, eccitato dalle luci e dal chiacchiericcio attorno, parla e parla. La mamma guarda in giro, soprattutto ai tavoli attorno ai quali siedono famiglie intere, compresi i papà. E sospira piano. Se i bambini litigano tra loro o alzano troppo la voce, sono i papà a intervenire e a riportare ordine, con pochi gesti e parole. E se qualche bambino continua a protestare e frignare, i papà provvedono. Alcuni con modi bruschi, altri stemperando il comando con una battuta scherzosa, che rasserena piccoli e grandi.
Il nonno ascolta P che parla e chiede, e risponde paziente alle sue domande. Il nonno sa un sacco di cose ed ha una spiegazione per tutto: perché le amarene sono senza nocciolo e come fanno a levarglielo, perché succhiando nella cannuccia il liquido sale, cosa c’è dentro la bottiglia del seltz con l’acqua che fa le bollicine e pizzica, perché il vapore fa muovere la locomotiva che porta al Lago…
Le domande sul mondo sono infinite, ci vorrebbe un tempo infinito per sapere tutto. E invece è già il momento di tornare a casa.
Ormai il papà non viene più, è ora di andare, dice la mamma a P.
Il nonno tira fuori l’orologio dal taschino: Già, è ora di andare, ripete a P. Chiama il cameriere, paga il conto e la mancia (P ha visto altre volte che poi il papà gli restituisce i soldi). E si avviano lentamente verso casa.