Frammenti autobiografici

Altri periodi di un di-segnatore nato

P si rivela sin dalle Elementari affascinato dalla carta bianca. Per non dire schiavo, come risulterebbe da altri episodi, alcuni non ancora esaminati. Raccoglie per anni con ostinazione fogli bianchi, con la voglia golosa di disegnarvi sopra, al momento opportuno, qualcosa. Anche se poi gli manca per molto tempo il coraggio di turbare con un segno qualsiasi la perfetta armonia che emana dal chiarore verginale di quei fogli, foglietti o fogliettini, perfettamente ordinati per formato, spessore e sfumatura di bianco.

I genitori lodano il suo senso d’ordine e di parsimonia, e non si sognano di intravedere aspetti coattivi in una piccola e tenera forma di collezionismo. Evidentemente nessuno in famiglia ha ancora avuto modo di apprendere da Freud che quelle peculiarità del carattere, in via di farsi nel bambino P, non sono altro che prodotti della sublimazione del suo erotismo (pare anale), evidentemente ancora non superato. Ohibò.

Lo sarà mai? Domanda alla quale non è qui facile dare una risposta. Anche perché, nel frattempo, le teorie freudiane, considerate troppo strettamente vincolate ai sensi e al piacere, sono state messe in discussione, e ridisegnate da altri in modo complicatissimo, fino a perdercisi dentro.

Sta di fatto, tornando al punto, che quel periodo della carta bianca fu uno dei più tristi nella carriera di disegnatore di P. Tormentatissimo periodo, in cui egli suole disegnare solo sui margini e sulle copertine dei libri di scuola. Una produzione a suo modo particolare, un po’ patologica, a voler ributtare le cose nel clinico. Sarà vero che essa avrebbe lasciato in lui profonde tracce? O invece P non se n’è nemmeno accorto? O qualche volta fa sentire ancora la sua influenza, specie quando cambia il tempo? Probabilmente non lo sapremo mai.

Segue un terzo periodo, che tutti concordano nel chiamare strano. Certamente il più singolare, nel quale P non disegna mai. Egli sostiene che anche quel periodo ha contributo, in un senso che peraltro gli sfugge, alla sua formazione artistica. E che è, senza alcun dubbio, felice. L’unico veramente felice della sua vita, forse.

E così si arriva al periodo della carta abbondante. P viene a contatto con certi ambienti (‘artistici’, come egli suole impropriamente definirli), che presentano, come caratteristica dominante, l’abbondanza della carta bianca. Carta non sua, ed estremamente abbondante. Utilizzata non per usi d’arti pittoriche ma scrittorie. Per vergarci o stamparci sopra notizie e altre fanfaluche.

Bei fogli bianchi, uguali, disposti in pacchi e file ordinate, ai quali poter attingere a piacimento. Su di loro P ha modo di abbandonarsi ad una sorta di furia grafica, ad uno sfogo che egli considera ‘salutale e definitivo’. Che piacere prendere un foglio e tracciarvi sopra qualche segno. E se il risultato non soddisfa, stracciarlo lì per lì in mille pezzi senza rimpianti. Fogli e fogli stracciati uno dopo l’altro, come ha visto fare al cinema da un pittore lunatico e molto impulsivo, con una disinvoltura che lo ha vivamente impressionato: quella è ARTE!

È il periodo dei fogli stracciati, quando innumerevoli farfalle bianche svolazzano senza posa attorno a lui. Bella immagine (ancorché poco credibile, ma vale la pena di sostare qui un momento, per fermare l’attenzione di chi sta leggendo sulla sua efficacia poetica).

Straccia che ti straccia, in fondo al furore stracciatorio resta un grano di… ma sì, perché non chiamarla come la chiama P, ispirazione? Purificato da tanta carta stracciata, P scopre, a quanto afferma lui stesso, di saper creare, quasi senza fatica, qualche segno ‘interessante’ (lui usa un’altra parola, sostituita qui per comodità col termine cui sogliono ricorrere gli esperti per districarsi in qualche modo da situazioni imbarazzanti).

Gli resta solo da unire, con un po’ di pazienza, quei segni. P li unisce, e quasi non si stupisce di aver ottenuto dei di-segni.