Frammenti autobiografici

Storia dei denti di P, anzi di uno

P legge di una giovane e rampante scrittrice messico-italica, che pare abbia scritto una Storia dei miei denti non male. E sui due piedi viene voglia anche a lui di buttar giù la storia dei suoi.

Non di tutti, che sarebbe certamente una barba ‒ e anche una schifezza ‒ ma almeno di quei pochi di essi, che in qualche modo hanno contribuito, o così sembra, a fare di P quello che è.

Gira e rigira, si casca ancora lì, finisce sempre per essere la storia di P, non si scappa. Di una parte di lui, almeno. Che poi, riflettendoci un momento, si vede che la parte rappresenta, anzi è, l’intero se stesso di P. Alle sineddochi non si scappa.

Per attenersi semplicemente ai fatti e non svicolare nel figurato se non addirittura nell’introspettivo, il primo dente che viene subito in mente a P è uno di quelli che gli stanno davanti nella bocca. Prende lo specchietto da barba e controlla: eccolo lì, è uno dei quattro denti che chiamano ‘incisivi superiori’, l’ultimo prima del canino di sinistra (la sinistra di P, non quella dello specchio, che poi non è vero, non inverte l’immagine, ma lasciamo perdere). Bene, quello è un dente storto, l’unico decisamente storto nella cosiddetta chiostra di P.

In un momento della sua infanzia, che egli non ha registrato ma che avrà certamente una data esatta, purtroppo non da lui precisabile, quel dente (per spiegarsi meglio, P lo ha battezzato Compermesso), comincia a fare come una persona che, in una folla accalcata di spettatori, vuol farsi avanti e mettersi in prima fila per vedere meglio quello che succede: si gira un po’ e si pone di traverso, per riuscire ad infilarsi tra due tipi che lo stringono.

P ha lo sfizio delle similitudini e degli esempi, che però sono sempre approssimativi (non era S. Tommaso a dire che exempla claudicant, cioè zoppicano?). In realtà, a differenza di quel tizio che voleva farsi strada nella metafora, Compermesso non preme nella bocca di P da dietro, ma da sotto, dalla gengiva da cui sta spuntando, visto che è venuto il suo momento di venir su tra gli altri colleghi della seconda dentizione. E non trova posto trail canino di sinistra e l’incisivo accanto, che sarebbe il terzo, sempre a sinistra.

Perché non trova posto? Per la semplice ragione che P ha (e continua da sempre ad avere), la bocca stretta. Il progettista che l’ha disegnata ha sbagliato le misure, come in quel film di Tati, dove i baristi devono stare chinati perche l’architetto o geometra del nuovo bar era un’incapace o un deficiente. Nella bocca di P, in alto, c’è posto solo per tre incisivi e mezzo.

Questo P lo viene a sapere (a quanto può ricordare), la prima volta che la sua mamma lo porta dal dentista, quando ormai è troppo tardi. Compermesso è già riuscito a fatica a farsi posto tra i vicini, mettendosi di traverso, sporgendosi e sovrapponendosi in parte al terzo incisivo.

La mamma chiede se si può fare qualcosa per rimediare.

Absolutamente ja, risponde il dentista, defo mettere biccolo aparrechio in pocca di pampino. Ogni tanto tornare da me, io girare vite e allarcare. Uno ano e tuto perfect.

Addirittura un anno? Ma sarà antiestetico e poi gli farà male, si preoccupa lei, senza chiedere cosa costi la faccenda

Solo poco fastidio, ma poi passare. Finale compensare tuto…per chi importare.

E a questo punto il dentista (straniero, si sarà capito, un ebreo austriaco che ha da poco aperto uno studio nella città natale di P), dice la frase fatale che qui si traduce: perché si preoccupa tanto, signora, non è che un dentino un po’ fuori squadra, ne ho uno anch’io e anche lei, vede, qui sotto, ma non turba il suo bel sorriso, anzi, contribuisce ad esaltare la sua personalità. Lasci tutto così, signora, vedrà che suo figlio troverà mille fidanzate….

Il dentista (evidentemente interessato più alla lunga conservazione del cliente che al guadagno immediato), conclude con una risata e mostra tutti i suoi denti, uno dei quali debitamente accavallato. Anche la mamma scoppia a ridere (e anche P, benché non abbia ben capito di che). Il dottore è un bel tipo. Un uomo molto grasso, spiritoso, gioviale, pieno di buon senso. Il papà di P dice che esagera i suoi errori di conversazione per rendersi più simpatico alla clientela. Un personaggio che da grande P ritrova nei film-operetta viennesi.

P, per farla breve, si deve insomma tenere Compermesso così com’è. Non che la cosa al momento gli dia preoccupazioni. È un bambino e più avanti un ragazzino e poi un ragazzo distratto da tante altre cose del mondo. Lo disturbano di più i suoi capelli, troppo sottili per stare al loro posto. I denti sono l’ultima delle sue preoccupazioni, anche perché non gli fanno male. A quanto ricorda, non ha mai sofferto in vita sua di mal di denti. Quelli che man mano si guastano, e devono essere otturati, lo fanno silenziosamente, si potrebbe dire addirittura subdolamente.

Degli effetti di questo comportamento dentale, degno di Jago, P ha modo di rendersi conto la prima volta (è ormai già grande, quasi un giovanotto), che vede la sua faccia riflessa doppiamente in due specchi.

Non succede in bagno o dal barbiere, il quale per documentare d’aver fatto un buon lavoro tiene sospeso un altro specchio dietro la testa del cliente, e costui guardando in quello che ha di fronte vi vede riflessa solo la nuca ben ripulita. No, a P succede dal sarto. Il quale ha nel suo atelier due alti specchi lateralmente contrapposti, nei quali il committente dell’abito appena confezionato può controllare agevolmente se esso cade bene anche dietro, senza brutte pieghe.

Rimirandosi alle spalle nel doppio specchio del sarto, P ha per un istante l’epifania della faccia d’un altro che stia esaminando la buona fatturail suo nuovo vestito. Non è sua quella bocca storta! E per aggiunta anche il naso dello sconosciuto che lo sta guardando è storto! L’equivoco percettivo della riflessione dura solo il tempo di pochi attimi necessari a P per rendersi conto che sta vedendo per la prima volta la propria faccia come la vedono gli altri. E resta basito. Porca miseria, che brutta faccia! Non solo Compermesso, sporgendosi per farsi posto, gli storce un po’ la pelle della bocca che lo ricopre, ma qualcosa altera per di più il suo profilo nasale. L’illusione d’una buona simmetria facciale, che il narcisismo di P, amoroso del proprio volto, s’è costruito nel tempo, si rivela all’improvviso falsa. Un’illusione, appunto.

Ma perché anche il naso? Ripensandoci su, a P torna il ricordo d’una dimenticata frase sentita la volta che la mamma lo porta da un altro medico specialista. Il quale gli guarda e gli scruta bene gola e naso e poi solleva lo specchietto concavo con un buco in mezzo che tiene sulla fronte e dice: Signora, questo bambino ha un principio di deviazione del setto nasale.

Come, con quel bel nasino?, protesta sorpresa e addolorata la mamma di P.

Rimedi? Sì, dice il medico, un’operazione delicata, ma forse è meglio aspettare che il pazientino cresca.

P, ora, ricorda di aver avuto sì, da piccolo, come paiono documentare vecchie fotografie, ‘un bel nasino’. Il quale però, seguendo l’andazzo della cartilagine, è cresciuto non solo troppo in lunghezza, ma anche in stortezza. Dell’operazione, comunque sia, non si parla più.

P s’accorge di divagare con i ricordi e torna ai denti, Ma non ai suoi. Gli vengono alle mente quelli di L, la cara moglie perduta. Sofferente anche lei, ma sì, d’una strettura palatale o buccale, tanto che i due incisivi centrali superiori le crescono storti. Il che modifica la postura naturale delle sue belle labbra, ma solo sporgendole leggermente in avanti. Il che aggiunge un di più incantevole di charme alla sua bocca, fin che la tiene chiusa. Ma anche quando l’apre, (P se lo ricorda bene e le fotografie lo provano), la storcitura è abbondantemente compensata dalla radiosità dei sorrisi che animano il suo bel viso, e annullano ogni difetto.

Quanto a P, come sorride? Bene, nonostante quel dente, da piccolo e da grande, se si deve credere a suoi genitori e agli amici. Sta di fatto che i sorrisi di P e di L si incontrano, i denti storti si incrociano e la cosa funziona. Nonostante più avanti negli anni si inframmettano, a velare i sorrisi, le preoccupazioni della vita.

I sorrisi di L e di P hanno qualcos’altro in comune: lo stesso dentista. Anche i genitori di L la portano bambina da quell’austriaco, che evidentemente fa anche a loro lo stesso discorso, con evidenti conseguenze.

A proposito di quel simpatico dentista, P apprende poi dal papà che egli è emigrato in Italia per motivi razziali. Benché i nazisti non abbiano ancora invaso l’Austria, l’atmosfera lassù è già molto pesante per gli ebrei, e i più avveduti preferiscono cambiare subito aria. Cosa gli accada dopo, quando anche l’Italia prende a scimmiottare Hitler, con tutto il peggio che segue, P lo ignora. Forse il dentista riesce a scappare in America e a convincere anche laggiù i suoi clienti a lasciar correre, almeno sulle deviazioni dentali.

Tutto per colpa di Hitler. A pensarci bene, P pensa che, in ultima analisi, il nazismo è il vero responsabile anche del destino di Compermesso e della propria bocca storta.

E gli altri denti di P.? Vanno avanti abbastanza bene negli anni, fino all’immenso dolore della morte prematura di L. Dopo, in pochi mesi, parecchi si guastano. Sono probabilmente la parte più debole di P, e non resistono al trauma. Un altro dentista, ariano e antipatico, ma molto bravo, provvede subito ad eliminarli, Compermesso compreso.

P spera nella protesi: servirà, se non altro, a fornirgli un sostituto finalmente diritto, ma il dentista dice antipaticamente che non è possibile.

Così succede che il solo dente finto di P sul davanti dell’arco di sopra, sia l’unico storto. Il falso Compermesso continua a storcergli la bocca. Come prima, come sempre.