Frammenti autobiografici

Leoni

P sa di sicuro che c’è una città nel mondo dove una volta, quanto scoppiò una grande sommossa, persino i leoni di pietra s’alzarono solidali e ruggirono a tutto spiano. Non è colpa loro se nessuno li sentì, perché non c’era ancora il sonoro nel cinema. Ma c’era l’idea. Ed è questo che conta.

Due grandi leoni giacciono anche nella cara città molto vecchia di P, alle porte neoclassiche del cimitero. Non è colpa loro se da secoli dormono della grossa, ma forse dello scultore che li ritrasse, copiandoli ingranditi dalla tomba d’un Papa. O forse di chi non ha proprio pensato mai a svegliarli dal lunghissimo sonno. Nemmeno le bombe dell’ultima guerra, che si sappia, sono del resto riuscite a dar loro una smossa. Tanto che potrebbero benissimo essere il simbolo (dormiente) della città stessa.

Bambino ingenuo, P ha tentato invano una volta di scuoterli con le manine. Ha scelto più tardi ‒ o meglio, qualcuno ha scelto per lui ‒ d’andare in altre città dove la gente parrebbe più sveglia.

E là qualcun altro ha cercato con scarso successo di scuotere anche P, più ancora di quanto, casomai, potesse servire a non si sa che.

Ora, come i leoni o quasi, anche P séguita a dormicchiare. Il che, tutto sommato, tanto male non è. Allena, se non altro, alla gran dormita finale. Supposto che gli allenamenti, nella fattispecie, servano a qualcosa.