Cenere e coincidenze
Da molto, anzi da moltissimo, P progetta di farsi (da morto), cremare. L’idea gli era venuta tanti anni fa assistendo, unico spettatore, nel cimitero genovese di Staglieno, alla trasformazione in cenere delle spoglie di Max Beerbohm, caricaturista e scrittore dandy inglese assai noto in patria ma praticamente sconosciuto in Italia. Egli s’era spento a Rapallo, dove aveva trascorso, con la moglie e poi da vedovo, gli ultimi anni rigorosamente appartati della vita (sulla sua casa è apposta a perenne memoria una lapide).
Era il 1956, data che dice quanto vecchio sia il progetto autocombustivo di P. Che nell’occasione si era informato sulle procedure della mesta faccenda addirittura dal presidente della So.Crem, società genovese unica titolare e gestrice delle pratiche di abbruciamento dei cadaveri in Liguria.
Poi, come pare succeda a tutti, gli eventi s’erano accavallati nell’esistenza confusa di P e l’intenzione estrema s’era persa, o meglio, era rimasta a covare sotto una cenere, metaforica stavolta.
Ma ora che P s’appresta a compiere i 93 (se, toccando ferro, ce la farà ad arrivarci, il 28 luglio dell’anno prossimo), l’idea gli torna a riardere bella calda. La So.Crem esiste sempre – le associazioni e le imprese mortuarie saranno le ultime a chiudere, figurarsi – e una telefonata è sufficiente ad aggiornare P. Semplicissimo: basta rivolgersi alle più vicine Pompe Funebri, che provvederanno prontamente a consegnare a P apposito modulo da compilare accuratamente.
P sa benissimo dov’è la triste azienda nel paesino dove abita e dove tutto – farmacia, alimentari, giornalaio, barbiere, banca e anche Pompe – è a quattro comodi passi da casa sua, in un cerchio ben più minuscolo, in ogni senso, di quello del resto non grande entro cui Kafka sentiva di vivere a Praga.
L’impiegata dell’impresa Raffo & Figli s.n.c., gentilissima, gli porge il modulo e gli spiega come fare. Oltre alle generalità, l’aspirante al rogo conclusivo dovrà aggiungere di suo pugno a mano, con penna ben temperata e, tassativamente, non a stampatello ma in caratteri corsivi, la seguente esplicita dichiarazione: “Esprimo la volontà, revocabile esclusivamente da me e per iscritto,che la mia salma sia cremata. Delego all’adempimento della presente disposizione testamentaria il Presidente pro-tempore della Società di Cremazione”. E qui deve seguirela firma, chiaramente leggibile.
P tiene sulla scrivania il modulo in bianco per qualche giorno, aspettando che venga il momento giusto. Che finalmente viene. Ecco fatto, bel corsivo un po’ tremolante per vecchiaia (aggiunge una ‘i’ indebita a revocabile, ma oramai è fatta) e firma con un accenno di svolazzo. Poi porta lo scritto alla Raffo & Figli. Però si è dimenticato a casa la carta d’identità e il codice fiscale, che l’impiegata gli aveva detto indispensabili a corredare la fatale istanza. Vado a prenderli e torno subito, dice P. Invece non torna, indugia ancora una giornata.
La mattina dopo, camminando molto piano, rivà dall’impiegata. Perfetto, dice lei, ora inoltriamo la sua domanda a Genova. Questione di qualche giorno. No, non deve pagare adesso la quota una tantum d’iscrizione di 50 Euro. Le telefonerò appenaavremo la ricevuta della So.Crem. Ecco intanto il nostro biglietto.
Rientrando a casa, P guarda il biglietto. E si ferma. L’ufficio dell’impresa Raffo è in Via Campodonico. Non l’aveva notato prima. Nel borgo non occorre conoscere i nomi delle strade. Campodonico: ma sì, un cognome diffuso in Liguria. Tant’è vero che, al tempo in cui c’era da approntare la dolorosa partecipazione funebre per la morte della moglie, P, che in quel momento stava a Milano ma lavorava da pendolare a Genova, s’era procurato le copie della fotografia da incollare sul dolente biglietto rivolgendosi al suo abituale fotografo locale. Che si chiamava, appunto, Campodonico.
Ma che poi, a Verona, la lapide accanto a quella della cara scomparsa fosse dedicata proprio a un rarissimo Campodonico veneto, era una coincidenza che allora gli era parsa non più che curiosa. Ora, però, al riapparire di quel nome proprio in un’altra occasione diciamo pre-funeraria, c’è da trattenere con un filo d’angoscia il fiato. Che difatti P trattiene.
Torna indietro a controllare la targa della strada: sì, è dedicata a un sacerdote musicista e compositore locale, Giovanni Battista Campodonico, morto da una sessantina d’anni. Poco dopo P, a casa, ne cerca la biografia sul computer: canonico, organista e maestro di cappella della cattedrale di Chiavari, compositore di un lungo elenco di messe e di inni religiosi.
A questo punto, càpita a P di scorgere sul monitor la data del giorno corrente. E ancora una volta sente un brivido all’ipocondrio: 28 ottobre. Càvolo, è la stessa data in cui, 93 anni fa, egli è stato concepito, nove mesi esatti prima della nascita, il 28 luglio dell’anno successivo, come la sua mamma gli ha raccontato da piccolo, tralasciando naturalmente i particolari. Altra coincidenza che s’ammucchia e lo porta senza dubbio a riflettere, con nel petto un momento di vuoto freddo.
Dopo averlo datato 25 ottobre, P ha indugiato a riconsegnare il modulo e, di ritardo in ritardo ‒ ultima la dimenticanza della documentazione da allegare – ha procrastinato l’atto conclusivo fino al giorno 28. Quanto inconsapevolmente? P, perplesso e turbato, se lo chiede.
E gli viene da pensare che quella doppia concomitanza, prima su un nome e poi su una data, potrebbe benissimo aggiungersi alle 77 storie di “coincidenze significative” raccolte in Nulla succede per caso, saggio d’uno psicoterapeuta d’area junghiana e per di più credente e omosessuale. Un libro che ha molto intrigato lo scettico P, lento a condividere tesi che mescolano scienza ed emotività.
Eppure non si scappa: l’esperienza di P ha tutte le caratteristiche che Jung ha previsto per quelle che lui chiamava coincidenze sincronistiche: eventi non visti come intenzionali, non frutto della catena causa-effetto; sempre accompagnati da una profonda esperienza emotiva; che assumono per chi li vive un carattere simbolico; che segnano di solito una svolta esistenziale… Beh, riflette P, in fatto di svolte esistenziali, la morte è il massimo.
Secondo Jung, questi eventi avrebbero la funzione di rendere conscio l’inconscio. P, che non sa nemmeno bene quando quest’ultimo sconfini nel preconscio, s’accinge a interrogarsi in proposito, ma presto si confonde. Lui che fatica già a destreggiarsi fra dritto e rovescio, fra destra e sinistra, non ama le complicazioni, soprattutto quelle che gli viene di chiamare ‘intellettual-funebrali’.
P sente vagamente di perdere una qualche insondabile, definitiva occasione nella vita. Ma presto gli arrivano provvidenziali altre contingenze alle quali bisogna subito provvedere e ciao.