Frammenti autobiografici

Barra 8

Slargo 1° Maggio, curva a destra in fondo, altro slargo e lì, proprio all’angolo, dove comincia via De Amicis, ecco la nuova casa di P. Al numero civico 5, solida casa moderna, d’un discreto rosa-arancio, naturalmente in geometresco cemento armato, ma solo per l’altezza umana di tre piani, con terrazzini e grandi finestre. Tu stai lì, al secondo piano, sull’angolo, indica M.

P scende come può dall’auto, che dal mare l’ha portato al centro della Lomellina pavese, aiutato da M, il figlio maggiore, sempre premuroso, con la sua forza inesperta, che ancora non si è adeguata alla fragilità di gambe e schiena del vecchione, o vecchietto, malandato.

Semplice bella porta a vetri all’ingresso, che si apre subito allo scatto della chiave. E lì accanto la targa del laboratorio di analisi, comodissimo casa-bottega, motivo principale della scelta di quell’appartamento per le sempre più frequenti esigenze medico-assistenziali del suocero. Grazie a E, la gentile nuora esperta del luogo ‒ Garlasco propugnaculm Papiae ‒, al quale resta ben poco del passato, dai celti in su.

Ascensore, piano due a sinistra, la porta al barra 8 di P, già dotata di cartellino con ben stampato cognome, si spalanca su un luminoso salotto, pare ridipinto di fresco come del resto tutte le confortevoli stanze, con in fondo una grande finestra. Il pavimento di ceramica bianca abbaglia di luce. Qualche mobile è già sistemato, ricuperi da case precedenti di famiglia o nuovi acquisti, come il divano con tanto di “isola”, sulla quale P si stenderà per guardare più agevolmente la Tv. Lungo le pareti, le scatole del trasloco da svuotare con comodo.

Ed ecco l’ampia cucina già attrezzata di tutto, da non chiedere di meglio. Segue la non meno spaziosa camera da letto, con rinnovato materasso rigidissimo e grande armadio per custodirvi ciò che – ma P se ne rende conto solo ora – difficilmente si alternerà nelle stagioni che gli restano. Anche qui con nuovo-vecchio armonicamente fusi. Di fronte al bel letto di dimensione “francese” con morbida testata grigia, sta il carissimo comò primo-ottocento che P si porta dietro sin dall’infanzia, con sopra al centro la statuina in terracotta, ex-voto romano agli dei per una buona annata di lana da filare, regalata a suo padre tanti anni fa da un amico archeologo, frutto degli scavi in un antico tempio. Ne avevano ritrovate a centinaia in fondo alle cantine di una casa, al centro di Verona. E ai due lati: la colomba d’un artigiano siciliano acquistata a una delle tante triennali milanesi e un vaso settecentesco di farmacia andato in frantumi e pazientemente rincollato.

E poi ben due bagni sin troppo grandi ma non guasta, e una cameretta da letto per ospiti o per un’eventuale badante, dio ne guardi, fin che P ce la farà non vuole nessuno che turbi giorno e notte la sua più che trentennale autonomia, ancorché ultimamente molto stentata. Basta e avanza la brava ragazza ucraina che sbriga in un paio d’ore al giorno le pulizie e assicura i servizi essenziali.

Dalla finestra della camera da letto, solidissima a doppio vetro come in tutta la casa, a perfetta protezione dal freddo e dai rumori esterni, si scorge fuori una sorta di piccolo parco d’alberi fronzuti. Ospita una scuola di musica.

Ma P scopre, d’un tratto, che non gl’importa più di tanto del paesaggio attorno, che dovrebbe consolargli occhi e cuore. È improvvisamente un rifugiato in casa, interessato solo a ciò che resta del suo corpo, al modo di conservarlo in qualche modo, di sistemarsi tutto attorno affinché sia accessibile senza sforzo alle sue mani. Né gl’importa che l’arredamento sia completato, con i quadri alle pareti eccetera. Solo i pochi libri che si è portato via dal mare, da leggere o rileggere, riuniti come si potrà in una bianca libreria ikea, e le carte, fin troppe gli pare, che si è tirato dietro non sa bene a che pro’.

P uscirà certo nelle vie del borgo, come caldamente gli raccomandano anzi prescrivono. E per questo si aiuterà con il robusto carrello o girello o passeggino – tecnicamente un “tutore” –, regalatogli dai figli, adatto alle incertezze dei marciapiedi sconnessi, nonché con un triciclo, addirittura, ordinato tramite e.mail, arrivato in pezzi per posta dalla Cina e rimontato con provetta abilità da M.

Quando uscirà P? Una improvvisa febbre dovuta a infezione urinario-prostatica – conseguenza della caduta di difese, sentenzia il medico –, lo trattiene in casa per una ventina di giorni, durante i quali, tra ulteriori medicamenti antibiotici e flaconcini enterogermici, legge accanitamente, nelle ore che gli consente il velo che in certi momenti della giornata gli cala sull’occhio destro, tanto per aggiungere disagio a disagio, ma la visita oculistica è già prenotata,

Un paio di volte al dì esegue pignolescamente la ginnastica alle gambe prescrittagli dal fisioterapista e per altri due quarti d‘ora cammina appoggiandosi ad un altro passeggino più leggero, riservato alle deambulazioni in casa, da muro a porta a tavolo.

P è sdraiato sul suo nuovo letto, nella posizione meno dolorosa cercata cautamente e mai definitiva. Riflette sulla sua condizione di persona che ha perso buona parte delle disponibilità motoria delle gambe, delle forze, del corpo. E che ora conosce anche tanti nuovi disagi, le agonie della stitichezza, le umilianti esperienze dei clisteri, le preoccupazioni di non sbagliare le tante medicine disposte in dosi per lui complicate lungo la giornata, tanto da doversi predisporre una lista stampata – una sfilza interminabile!

Ma ecco che la “ricerca cauta “di una posizione indolore appare a P una descrizione inadeguata del suo modo di adattarsi alla nuova realtà. E gli viene subito in mente il commesso viaggiatore Gregor Samsa, che si scopre una mattina trasformato in un grande insetto sdraiato a letto sul dorso e vede tremolargli disperatamente sul ventre numerose zampette, “pietosamente esili”. P ricorda i patetici tentativi di Gregor per raddrizzarsi e scendere dal letto senza cadere e farsi male,

È esattamente quello che prova P, che sente il suo corpo, dalla schiena in giù, come un peso morto. Per fortuna egli ha le braccia, come non ha l’insetto della Matamorfosi, capolavoro assoluto, e può faticosamente, millimetro dopo millimetro, raggiungere la posizione giusta per scivolare giù dal letto, saldamente appoggiato al girello. Perché in sostanza le gambe bene o male gli funzionano ancora, ma solo se la schiena invasa dall’artrosi è ben sostenuta.

Non resta molto tempo da pensare ad altro, ma P trova uno spazio tra le preoccupazioni pratiche per qualche intima riflessione su quel nuovo – o nuovo aspetto del suo solito sé – che gli pare di intravedersi dentro, teso unicamente all’approntamento di una difesa istintuale, che tralascia tante cose ora superflue e inutili.

P sta nel suo letto come le foglie sugli alberi in autunno – i poeti servono sempre a qualcosa. Sperando che l’autunno non sia troppo breve.