Storie

Storie Brevi – Cosa so?
Razza

Finita la cena, l’avvocato, la moglie, Emilio e il nonno, papà dell’avvocato, restano lì seduti al tavolo della cucina. Una riunione di famiglia.

Quel “comma d” sembra scritto apposta per lei, dice la nuora al suocero, con una sfumatura di risentimento nella voce.

Il nonno, vecchio socialista in disarmo, non risponde ma allarga le braccia, un suo solito gesto un po’ teatrale.

Papà, non ho capito, chiede Emilio, il bisnonno era ebreo, ma il nonno non crede a niente. Vero, nonno, me l’hai detto tante volte: rispetto per tutti, e ciascuno con le sue idee.

Qui, caro mio, dice l’avvocato, non è solo questione di idee, di religione, di credere o non credere, qui si parla di ‘razza’, che pare sia un’altra cosa, almeno secondo questo…‒ e accenna al giornale steso sui piatti ‒. Anzi di più, si parla anche di voler essere di quella razza, il che è uno strafalcione giuridico, confonde le azioni e i dati di fatto con le intenzioni. Il nonno sarebbe in effetti ebreo solo a metà, perché la sua mamma, la bisnonna Annetta, era una cristiana, una gentile, come si diceva una volta, o una ariana, come si dice oggi alla tedesca. E il nonno resterebbe semplicemente ebreo a metà, nonostante sia stato circonciso appena nato, se… non risultasse iscritto alla Comunità ebraica della nostra città. E questo annulla la metà e fa ridiventare il nonno ebreo al cento per cento. Da non crederci, è previsto qui ‒ e riaccenna con spregio al giornale ‒ come una “manifestazione di ebraismo”, appunto al comma d dell’articolo otto, in questo decreto-legge numero millesettecentonovantotto sulla Difesa della Razza Italiana, figuriamoci, un minestrone confuso di questioni razziali e ideologiche. La mamma non ci avrebbe mai cucinato una pietanza così.

Questo è sicuro ‒ dice la mamma ‒ ma mi meraviglio di lei ‒ prosegue rivolta al nonno ‒ come le è venuto in mente di iscriversi alla Comunità, lei, ateo e socialista?

No, un momento ‒ dice l’avvocato ‒ il nonno è stato iscritto appena nato da suo padre, non è vero, papà? Eravamo nel milleottocento…

… Sì, milleottocentosessantanove ‒ precisa il nonno.

Appunto, allora era un’usanza comune, una forma di adesione, affermare l’appartenenza al proprio gruppo sociale. Una faccenda di sentimenti, più che altro.

O forse era un modo di far vedere che siete di una ‘razza eletta’ ‒ motteggia la mamma, mentre libera la tovaglia dai resti della cena.

Razza eletta un corno ‒ sbotta a questo punto il nonno ‒ io non credo alle ‘razze’. Da millenni, ma che dico, da decine, forse centinaia di migliaia di anni, siamo tutti mescolati. E poi non credo a certe forme associative basate sulla ‘stirpe’ o sulle corporazioni, al massimo credo alle cooperative. Non sono mai stato un sionista e non ho mai cercato nemmeno di tenermi buoni i miei, diciamo, correligionari di cui non ho mai condiviso, tanto per cominciare, la religione, come non condivido quella cristiana e nessun’altra fede nell’aldilà. Lo sapete bene che i miei ‘giudei’ mi sono stati sempre cordialmente antipatici e che mi ha sempre fatto venire il nervoso quel loro spirito borghese, mercantile, benpensante. Guardate, se c’è veramente una ‘razza eletta’, quella è la borghesia. Ebrei, cristiani, protestanti, alé, tutti bravi borghesi in piazza ad applaudire in Germania quello del baffo e in Italia il testone in camicia nera, in quest’anno di grazia millenovecentotrentotto, diciassettesimo dell’Era Fascista. Finora, perché voglio vedere cosa ne pensano adesso, i miei cari ebrei, con questa legge scimmiottata addirittura su quella ‘sangue e onore’ di Norimberga, per far piacere ai nazisti. E controfirmata da Sua Maestà il nano Vittorio Emanuele III!

E qui il nonno improvvisa una caricatura del Re mentre firma, sforzandosi di arrivare con la penna all’altezza del tavolo. Emilio e la mamma scoppiano a ridere.

C’è poco da ridere ‒ dice l’avvocato ‒. Me lo sono letto e riletto questo decreto e specialmente l’articolo otto, che contempla… – si ferma: gli è venuto di usare le parole del suo gergo giuridico e si avvede che sta profanando i principi della Giustizia. C’è poco da ‘contemplare’, in questa mostruosità ‒. È un brutto pasticcio ‒ conclude scuotendo il capo.

E adesso cosa succede? ‒ chiede Emilio, tornato subito serio.

Succede che dobbiamo darci da fare, cercare le parrocchie in cui sono stati battezzati tutti gli ariani della famiglia e domandare i certificati. Prendi una matita e un foglio di carta.

La famiglia dell’avvocato comincia, tassello dopo tassello, accomunando i ricordi di chi ne ha, a buttar giù un abbozzo di albero genealogico. Come starà avvenendo, in quelle stesse ore, in altre case italiane. La laboriosa ricerca del passato.

Cosa che, a parte lo scopo immediato, non è poi una cattiva idea: il ritorno alle radici, bisnonni paterni e materni, trisavoli e trisavole e più in là, e di dov’erano. Ritrovare i nomi e i luoghi di battesimo dei quondam, sentiti pronunciare, magari, una sola volta nella vita, da qualcuno al quale non si può più chiedere. Parenti e congiunti conosciuti soltanto in fotografie sbiadite o dei quali sopravvivono vaghi ricordi d’incontri infantili con certi vecchioni, che elargivano da panchine in giardino, da poltrone sdrucite, da letti con accanto il pitale, sorrisi sdentati, carezze tremolanti e frasi fatte.

Beati i tempi andati, quando nessuno doveva preoccuparsi di mettere nero su bianco le proprie origini. Salvo, naturalmente, i nobili e i ricchi, con molta roba e molte rendite da spartire, e certi spiantati in cerca di un appiglio per i loro vani orgogli. Nemmeno le Cassandre più pessimiste sul futuro avrebbero potuto allora prevedere che un giorno, non tanto lontano, ci si sarebbe dovuti impegnare in questi complicati puzzle famigliari.

Qui vediamo subito un altro fattore discriminante ‒ osserva l’avvocato ‒. Anche il nonno ha sposato una cattolica, la mia mamma, la povera nonna Teresa.

Direi cattolicissima ‒ conferma il nonno ‒. Era di Rovereto, che stava allora sotto la non meno cattolicissima Austria di Francesco Giuseppe, e lo è stata fino al ‘18, quando abbiamo vinto la Grande Guerra, e il Trentino è diventato italiano. Quanto a te, avvocato, sei stato battezzato in fasce, naturalmente. Me lo ricordo il parroco di S. Anastasia, che veniva sempre a confessare in camera da letto la nonna che era tanto ammalata, e che è mancata mentre tu eri ancora lontano in guerra. Cara povera Teresa, era credentissima, veniva da una famiglia bacchettona, con tanto di zii preti.

Dicevano che quando è morta si è sentito in camera un odore di rose ‒ ricorda la mamma.

E tu, nonno, cosa pensavi di tutti quei preti in casa?

Lo sai, per me ognuno è libero di pensare come vuole. Questa è la libertà, non come adesso.

Quindi ‒ dice l’avvocato ‒ io essendo ebreo solo per un quarto, stando a questa legge sono perfettamente discriminato.

E io? ‒ chiede Emilio.

Tu al venticinque per cento, siamo più che tranquilli, perché anche la tua mamma è ariana e battezzata come te. Tu studia e non pensare troppo alla razza e nemmeno alla ginnastica, che ti farà bene ma non ti serve agli esami di latino e greco.

Mens sana in corpore sano ‒ sentenzia il nonno, e accenna un saluto romano.

Emilio a scuola si conforma con i compagni ai rituali d’obbligo dell’Italia littoria, ma ha trovato modo di sottrarsi alla noia mortale delle adunate del ‘sabato fascista’, entrando in una squadra di atletica, dove può soddisfare ‒ è l’unico modo per riuscirci ‒ le sue passioni per il nuoto e l’attrezzistica. Ha vinto col suo gruppo una gara provinciale e ha portato a casa un bell’attestato.

Comunque adesso dovremo darci da fare ‒ dice l’avvocato ‒ risalire per li rami, ritrovare le tracce in paesini della provincia e delle province vicine o addirittura lontanissime, come per te ‒ e guarda la moglie ‒ figlia di militare, nata e battezzata laggiù a Nocera Inferiore, provincia di Salerno, no? E cercare gli indirizzi delle parrocchie e scrivere ai parroci e stare attenti, perché spesso gli stessi nomi di battesimo ricorrono, generazione dopo generazione, e si rischia di confondersi.

A proposito di nomi ‒ dice la moglie all’avvocato ‒ ti ricordi quando ci eravamo appena conosciuti e mi hai detto: Maria, ti chiamerò Miryam, a una bella bruna come te sta meglio. Anche a me è piaciuto subito, è più poetico e un po’ esotico, e adesso mi ci sono attaccata, non lo vorrei cambiare, anche se mi pare che stia diventando scomodo. Certo, Maria è la madre di Gesù…io in chiesa non ci vado ma…

Peccato che Gesù fosse ebreo… ‒ dice sornione il nonno.

Maria e Miryam è lo stesso, era anche il nome della sorella di Mosè, e anche di Lazzaro. Però ‒ rassicura l’avvocato ‒ guarda che di Miryam ce ne sono tante in Italia, specialmente nel sud, e mica ebree. Anche la morosa di un mio commilitone, mi ricordo, il sottotenente Mancuso, mi pare che fosse di Catania, che è poi morto sull’Isonzo. È un bel nome, e anch’io sono contento di chiamarti così, alla faccia dell’articolo otto.

Miryam allunga una mano e accarezza quella del marito.

Le risposte alle lettere dell’avvocato arrivano con calma, ma arrivano. In copia conforme ai registri anagrafici dei comuni e delle parrocchie.

Gli attestati di battesimo sono un bel campionario di cultura chiericale. Per lo più riportati su parsimoniosi fogli a righe da quinta, scritti accuratamente a mano, qualcuno in elegante corsivo e con imitazioni della grafia antica, talvolta in latino quasi senza errori, compresa la firma del Parrochus. Pochi quelli compilati su moduli prestampati, rari i dattiloscritti. Qualche sacerdote aggiunge parole di cortesia e di augurio ‒ ho il piacere di poterLa accontentare ‒, che palesano una comprensione delle difficoltà del richiedente, non ispirata solo alla carità cristiana.

L’avvocato fa a sua volta copiare e autenticare i documenti dal notaio, li correda di un esposto in carta da bollo, dove riassume, in esatta prosa forense, le argomentazioni a favore del proprio discrimine. E porta il tutto in prefettura.

Lo indirizzano all’ufficio Affari Speciali, i quali comprendono evidentemente anche l’affaire razza e la relativa difesa.

Bussa con discrezione e, all’avanti! gridato, entra. C’è un solo funzionario in camicia nera, seduto alla scrivania, chino a compulsare documenti. Non si cura di vedere chi è entrato, chiede il motivo della presenza e, udita la risposta – discriminazione – avanza un braccio invitando sbrigativamente con la mano a consegnare le carte. Continua a ignorare il postulante in piedi, che è invece severamente scrutato, nelle fotografie sulla parete, dagli occhi magnetici del Duce e da quelli scialbi del Re, che si sforza di assumere un’aria Imperiale. Sopra di loro, il Cristo sulla croce sembra dormire.

Il funzionario sfoglia in silenzio, controlla, traccia qua e là segnacci con una grossa matita rosso-blù. È un giovanotto molto bruno con baffetti, capelli cresputi e neri quanto la camicia. Chiaramente meridionale, prodotto di chissà quali e quanti mescolamenti. Anche da seduto si capisce che è piuttosto basso di statura. Potrebbe essere benissimo di qualche paese africano dell’altra sponda sud del marenostrum Mediterraneo. Proprio di quei popoli che hanno una ‘costituzione razziale diversa’, come l’avvocato s’era inquietato a leggere nel Manifesto della Razza, firmato da ben dieci luminari universitari italiani sul primo numero di quel quindicinale, uscito saranno due anni.

Se il funzionario alzasse gli occhi suoi, vedrebbe un uomo abbastanza alto, molto bello, naso perfetto, capelli castani leggermente ramati – eredità genetica della mamma ariano-trentina –, un po’ ingrigiti. Un puro italiano, razza del nord.