Storie

Storie Brevi – Cosa so?
Niente di personale

I partigiani introducono nella capanna di frasche i prigionieri legati, li spingono davanti al comandante, che li guarda come si guardano i vermi e dice: siete due spie.

Spie noi?, protesta il più giovante dei due, sollevando le braccia strette ai polsi da uno spago e indicando con aria incredula prima se stesso e poi il compagno. Sono fratelli e si assomigliano in modo ridicolo: lo stesso viso paffuto, le stesse guance rosse. Si vede che l’interrogatorio li intimorisce.

Sì, spie. Siete stati visti parlare con i fascisti e anche con i tedeschi.

Sai benissimo che noi stiamo proprio sul confine stabilito. Parliamo coi tedeschi, coi fascisti, con voi, con tutti, si difende l’altro accusato, che sembra più anziano e più sveglio. I due prigionieri si protendono per presentare meglio le loro giustificazioni. Si volgono a guardare i due partigiani, che stanno dietro di loro in funzione di carcerieri, come a cercare una conferma. Ma quelli tacciono.

Il comandante sorride beffardamente. Indossa un giubbotto di incerto colore verde e porta in testa, unico segno militaresco, un berretto con la visiera, di un verde diverso e sgargiante, su cui è appuntato un distintivo. Impugna un bastoncino scorticato che agita parlando. Dalla cintura gli pende un fodero di cartone da cui sporge l’impugnatura di una pistola. Sta in piedi al centro della piccola capanna, ricavata nella curva di una siepe di sambuco che separa la strada dagli orti.

Se i vostri amici sono i nostri nemici, vuol dire che anche voi siete nostri nemici.

Macché nemici, protestano insieme i due prigionieri con comica simultaneità. Si guardano e il più anziano prosege da solo: io e mio fratello siamo amici di tutti, tu lo sai. Non stiamo con voi ma neanche contro di voi. Siamo neutrali.

Voi parlate coi fascisti e coi tedeschi, e parlando e riparlando gli dite cosa stiamo facendo, visto che siete sempre lì a spiarci, altro che neutrali.

Macché spiarvi. Passiamo dalle vostre parti perché è una strada obbligata, sennò dovremmo fare un giro che non finisce più.

Balle. Sappiamo che siete due spie. Tu, vieni avanti, conclude bruscamente il comandante puntando il bastoncino contro il prigioniero più giovane.

Il partigiano che sta dietro l’interpellato gli appoggia le mani sulle spalle come per spingerlo, ma quello lo precede e avanza d’un passo, lanciando un breve sguardo al fratello.

Il comandante alza di scatto un braccio e colpìsce il prigioniero alle guance con due schiaffi ben assestati. Sei condannato a morte. La sentenza sarà eseguita immediatamente. Adesso vieni tu.

L’altro partigiano spinge avanti il secondo prigioniero. Il comandante alza di nuovo il braccio e ripete lo schiaffeggiamento e la condanna. Portateli via e procedete all’esecuzione.

Stronzo, reagisce rabbiosamente il secondo schiaffeggiato, trattenuto dal suo guardiano. L’altro, riavutosi dalla sorpresa solo ora che vede colpito anche il fratello, si porta le mani legate alle guance e, con voce incrinata da un avvio di pianto, ribadisce: stronzo, sei proprio uno stronzo.

I due partigiani custodi prendono i prigionieri per le spalle e li spingono fuori, recalcitranti. Il condannato più anziano si gira a gridare verso la capanna: ma chi credi di essere? Adesso vedrai!

I giustizieri sembrano molto compresi del grave incarico, ma anche imbarazzati. Indossano giubbotti di foggia diversa ma di un verde simile, e quella è tutta la loro divisa. Una fascia verde al braccio di uno dei due indica un grado. Entrambi portano infilate nelle cinture due pistole uguali, nere e lucide.

Ci dispiace, dice il partigiano con la fascia, noi non ce l’abbiamo con voi, però dobbiamo eseguire gli ordini. Niente di personale.

Ma andate anche voi…, prorompe la spia più giovane che li conosce bene, e si asciuga in fretta qualche lacrima con il dorso delle mani legate.

Sostano tutti e quattro un momento. Poi il prigioniero più anziano dice: va bene, con voi veniamo, ma niente…, e alza un dito delle mani legate, a porre precise condizioni.

Niente, assicura il partigiano che ha parlato, ma tira fuori da una tasca un pezzo di spago.

I piedi no.

Vi dobbiamo solo legare insieme, è la regola.

Fa passare lo spago nelle cinture dei due condannati e, tenendone un capo, li spinge avanti ripetendo: ci dispiace, ma gli ordini sono ordini.

Percorrono in fila un sentiero pieno di ortiche e sbucano in uno slargo triangolare, dove le erbacce crescono su mucchi di detriti. Lo spiazzo è chiuso su due lati da un vecchio muro e, sul terzo, dalla siepe di sambuco, che impedisce sguardi estranei. Il posto ideale per un’esecuzione.

Salgono su un monticello di calcinacci. Il partigiano con la fascia estrae la pistola. Inginòcchiati, dice al condannato più giovane, che obbedisce, poco convinto.

Esprimi l’ultimo desiderio.

La spia sta un momento a pensarci, poi guarda il fratello, che lo esorta: di’ qualcosa.

Mando un bacio a mia madre.

Il partigiano gli punta l’arma alla tempia. La spia stringe gli occhi e storce un po’ la bocca. Si odono due suoni secchi, come di fiammiferi picchiati da un martello. Il giustiziato cadde bocconi su un fianco e resta immobile, con la lingua fuori.

Adesso inginòcchiati tu, ordina l’altro partigiano al secondo condannato.

No, gli eroi muoiono in piedi.

Come vuoi. Esprimi l’ultimo desiderio.

Viva l’Italia.

La pistola fa fuoco. Il condannato si piega lentamente sulle ginocchia e rotola sulle macerie. Muove ancora ritmicamente le braccia e le gambe.

Dagli il colpo di grazia, dice il partigiano con la fascia.

Risuona un altro sparo secco. Il moribondo ha un fremito, inarca la schiena, poi giace riverso, con la faccia paffuta rivolta al cielo.

Adesso siete morti, dice il partigiano con la fascia, non potete fare più niente. E taglia gli spaghi con un temperino.

Adesso invece andiamo a dirlo a nostro padre, e vediamo, risponde il morto più giovane, balzando in piedi.

Finché ci uccidete va bene, ma gli schiaffi non ce li dovete dare, aggiunge sollevandosi il fratello maggiore. E i giustiziati corrono via senza aggiungere altro.

I due partigiani siedono pensosi.

Effettivamente, gli schiaffi non doveva darglieli, ammette quello con la fascia, ma sai com’è fatto mio cugino, deve sempre inventarsi qualcosa.

Però l’esecuzione è venuta bene, si compiace l’altro, soprattutto col mio. Il tuo ha tirato fuori la lingua, ma non l’avevamo mica impiccato.

Nell’agonia può succedere di tutto.

Si alzano. Mentre tornano alla capanna, vedono il padre delle spie irrompere in maniche di camicia tra le frasche, prendere il comandante per un braccio e scuoterlo con forza.

Ti faccio vedere io gli schiaffi, grida l’uomo, e con un manrovescio gli fa volar via il berretto. Poi, sempre tenendolo per un braccio, gli dà una pedata nel sedere. Nel far così perde l’equilibrio e il comandante ne approfitta per divincolarsi. Si infila con la rapidità di un gatto in un varco della siepe e corre via attraverso gli orti, calpestando le lattughe.

Esce carponi sotto un reticolato , in una stradetta che dà sul fiume e continua per un po’ a correre, voltandosi a vedere se l’uomo lo insegue.

Arrivato a distanza di sicurezza, si ferma col fiato grosso. Lo raggiungono i due partigiani, che hanno preso un giro largo.

Cosa ti è venuto in mente di prenderli a schiaffi, dice ansimando il cugino del comandante.

Mi facevano rabbia, quei due con quelle facce tonde.

Scoppiano tutti a ridere.

Sì, però adesso non potremo più giocare ai partigiani.

Anche perché hai pestato l’insalata. Vedrai che l’ortolano viene a casa nostra a chiedere i soldi.

Faremo un altro gioco.

Facciamo le Giubbe Rosse canadesi, io ho i gambaloni neri alti fino al ginocchio, propone il partigiano con la fascia.

Ci vorrebbero i cappelli larghi da boy scout.

E le giubbe rosse.

Guardano il comandante, che tace pensoso.

Faremo le Giubbe Verdi, quelle le abbiamo.