Storie

Storie brevi – Cosa so?
Primo giorno di scuola

Sveglia, sono le sette, su, alzati che la colazione è pronta, dice piano la mamma, scuotendogli dolcemente la spalla.

Si gira sulla schiena e si stiracchia tutto con lentezza, come il gatto. Primo giorno di scuola in quarta elementare.

Ormai sei grande, gli ha detto ieri sera il papà. Quest’anno a scuola non ti accompagneremo più né io né la mamma. E nemmeno il papà o la mamma di Matteo, ma tanto siete in due, è una passeggiata di neanche dieci minuti.

Matteo è il compagno di classe e di giochi, sta nella stessa strada, due portoni più in là.

La tazza del caffelatte tiepido, i biscotti, lo zucchero e il bicchiere d’acqua con la pastiglia sono già pronti nel vassoio sulla tavola in cucina.

Prima la pasticca grossa di vitamine che si scioglie nell’acqua in bollicine veloci, in fila una dopo l’altra verso l’alto, e occorre aspettare che anche l’ultima bianca isolina frizzante, spinta su dalle bollicine, si dissolva nella sua schiumetta.

Poi i biscotti secchi rettangolari, che sono cinque, mezza confezione esatta, da immergere uno alla volta nella tazza. Strano, l’altra metà della confezione di biscotti stamattina non c’è. La mamma è solita lasciarla sul vassoio, ancora avvolta nell’involucro protettivo di carta, casomai lui avesse voglia di mangiarne ancora. Che non succede quasi mai, cinque di solito gli bastano.

Strano, mentre sospinge giù a colpetti col cucchiaio i cinque biscotti nel latte finché non si ammorbidiscono (ma attenzione, non troppo, che non diventino una pappa, e non si perda il loro granuloso sapore dolce mentre la lingua li preme contro il palato), ne scorge un sesto che sporge a metà da sotto il vassoio, e con due dita lo sfila. Ma l’altra metà non c’è, non stava sotto il vassoio. E non pare un biscotto rotto a caso come si rompono sempre i biscotti. Strano, stavolta è come se qualcuno l’avesse segato con grande precisione lungo la diagonale e appoggiato all’orlo del vassoio. Un triangolo rettangolo con una ipotenusa assolutamente perfetta. Lo gira e rigira: non mostra più la solita sostanza friabile di un mezzo biscotto, ma qualcosa di diverso, di compatto, una cosa incomprensibile.

Ma non c’è tempo di starci a ragionare su. Occorre affrettarsi in bagno, lavarsi, spazzolarsi i denti, pettinarsi, vestirsi, prendere lo zainetto preparato la sera prima, leggero per questo primo giorno di scuola perché contiene solo l’astuccio, il nuovo diario e due quaderni, uno a righe e uno a quadretti, comperati ieri con la mamma.

Strano, la mamma. Dopo averlo svegliato non è più ricomparsa, e anche il papà non s’è visto in cucina a bersi il suo caffè, forse stamattina non va a lavorare, e la mamma è tornata a dormire nel lettone.

Bussa alla porta chiusa della loro camera, ma non sente risposta. Socchiude con prudenza. Dentro è buio, non di vede niente. Mormora mamma papà, ma nessuno risponde. Staranno ancora dormendo.

Strano, ma c’è solo il tempo di indossare la felpa e infilarsi sulle spalle lo zainetto, di aprire il catenaccio, di chiudersi la porta di casa alle spalle, senza il saluto e il bacio, e di scendere di corsa le scale.

Stamattina non c’è il sole ma neanche la pioggia, uno strano cielo tutto uguale, senza nessuno dei colori che conosce, nemmeno il grigio. Si avvia svelto verso la casa di Matteo, che dovrebbe essere davanti al portone ad attenderlo, come ogni giorno lo scorso anno scolastico e gli anni prima.

Matteo non c’è.

Forse è in ritardo o sta aspettando in casa di scendere, dopo aver sentito ronzare il cicalino.

Preme il campanello e scruta attraverso i vetri nell’atrio, ma non si vede arrivare nessuno, neanche il portinaio.

A proposito, anche a casa sua non c’era il portinaio, che è solito salutare chi esce ogni mattina con una battuta, quasi sempre la stessa, mentre spazza il marciapiedi davanti al portone.

Pigia ancora due volte il campanello, ma non risponde nessuno. È tardi, bisognerà affrettarsi alla scuola, da solo, con dentro una strana ansia, lungo la via stretta a senso unico, che è un po’ più lunga, come dice sempre la mamma, ma più sicura della strada grande, piena di traffico e di gas di scarico.

Ma s’accorge improvvisamente che stamattina anche nella strada stretta non c’è nessuno, neanche le solite poche motorette e biciclette. E nemmeno i pedoni. Si arriva tranquilli nel silenzio al semaforo, che stamattina, strano, è spento. E non c’è nemmeno il vigile che sorveglia le strisce. Però non c’è da preoccuparsi ad attraversare, perché non passa nessun veicolo e nessun tram.

Guarda comunque con attenzione prima a destra, come gli ha insegnato il papà. e poi davanti, oltre le strisce, all’ingresso della scuola.

Ma dall’altra parte della strada la scuola non c’è.

Com’è possibile, dev’essersi sbagliato, arrivandoci stamattina per la prima volta da solo, e in perfetto orario. Eppure no, tutto dovrebbe essere lì, davanti a lui, dall’altra parte della strada: l’ingresso spalancato con sopra il nome della scuola, e il bidello attento che sorveglia i compagni che entrano.

Si guarda intorno perplesso allarmato sgomento.

Eppure non c’è dubbio, il posto è questo: la casa a sinistra della scuola c’è, giallina con le finestre grigie, e anche a destra la casa rossa c’è, con il gran balcone al secondo piano sostenuto da quelle due donne di pietra poco vestite.

Solo che tra la casa giallina e quella rossa stamattina, invece della scuola, c’è una strada mai vista, larghissima e perfettamente vuota, che si perde nella prospettiva fino all’orizzonte. Anzi, non si direbbe neppure che ci sia un orizzonte, perché non si capisce bene cosa ci sia laggiù in fondo, come se il fondo non ci fosse.

Ma cosa sta succedendo? Dov’è finita la scuola? E Matteo, e gli altri compagni di scuola? E il bidello, le motorette, le biciclette, i tram, il vigile e tutta la gente? E la maestra?

Sente dentro una fitta. L’ansia che diventa panico, angoscia.

E la mamma e il papà? Dove saranno la mamma e il papà?

A casa, sì, deve tornare subito a casa!

Via di corsa, per la via grande più breve, tanto non passa nessuno, via col respiro presto affannoso e il cuore che batte sempre più forte, guardando avanti senza vedere niente, via via con lo zainetto che sobbalza e gli sega le spalle e l’angoscia che cresce a ogni passo e gli secca la bocca.

Arrivato all’angolo della sua strada si ferma anelando e s’appoggia al muro.

Ha paura di sporgersi a guardare. Ci sarà ancora la casa? Guarda.

La casa c’è.

Corre singhiozzando.

Ma dove vai?, chiede stupito Matteo che sta uscendo dal suo portone.

Ciao Emilio, dice il portinaio che sta spazzando il marciapiedi, è già finito il primo giorno di scuola? Ma dove corri?

Emilio non risponde ed entra sparato. Non aspetta l’ascensore, sale le scale, il fiato gli manca, arriva ansimando al pianerottolo del primo piano, la signora Gemma in vestaglia gli sorride mentre raccoglie come ogni mattina il giornale depositato sullo zerbino, arranca al secondo piano dove il signor Pieri sta rientrando con la Dea al guinzaglio e anche lui gli sorride, al terzo il respiro è ormai un rantolo, picchia con le mani le braccia il corpo contro la porta invocando con voce rotta mamma papà!

MAMMA PAPÀ!

Eccolo! È Emilio! Vengo, vengo!, grida dentro accorrendo la mamma, e spalanca la porta.

Emilio! È qua! Dio mio, ma dov’eri finito? Ma perché piangi? Ma sei tutto sudato!

Emilio! Cos’è successo?, chiede il papà affacciandosi dal bagno con la faccia insaponata.

Mamma mamma! urla Emilio serrandole stretto i fianchi, mamma papà!