Storie

Storie Brevi – Dopo tanto tempo
Esistere

Emilio apre dopo tanto tempo la porta della casetta.

Non c’è più tornato da quei giorni, quando lui e i figli avevano smontato e portato via puntigliosamente tutto, senza dirsi una parola che non fosse necessaria allo sgombero, senza tralasciare niente, nessuna delle cose toccate, segnate dalla presenza piena di quieta allegria della moglie mamma, nei giorni felici e ormai persi di lontane vacanze.

Cose poi stipate per anni in casse e scatole, e lasciate intoccate in un solaio a impregnarsi di chiuso, a diventare lentamente inutili, superflue a un ricordo alimentato da se stesso.

Ora la casetta è in vendita. Anche ai figli, ormai grandi, non interessa più, ciascuno ha altre cose, altri luoghi condivisi con altri affetti.

La luce che entra dalla porta aperta basta a illuminare la scena vuota, ferma da allora, dall’ultimo sguardo di anni fa.

Ma occorrerà ricontrollare per scrupolo un’altra volta. Spalancare con un sospiro un paio di finestre.

Tutto sembra a posto. Nessuna macchia di muffa, nessun segno di infiltrazioni dal tetto, di incursioni di topi. La casetta regge bene, indifferente a ricordi e assenze.

Basterà incaricare qualcuno, chissà se la stessa donna che veniva un tempo, di levare il velo di polvere da pavimenti, porcellane sanitarie, infissi, e di passare uno straccio bagnato.

Il rapido giro d’ispezione si sta per concludere. Eppure Emilio sente che qualcosa nella casa è ancora fuori posto. Come se un po’del passato fosse rimasto.

Riguarda attentamente qua e là. Ecco, dietro una porticina che si lasciava sempre aperta, appeso a un rustico attaccapanni, c’è un giubbotto.

Scolorito, di tessuto spesso, indossato la sera nell’aria che si stava rinfrescando, mentre si conversava di cose dimenticate, piacevoli, struggenti. Pende ingobbito sulla schiena, dove ha preso la forma del piolo che da anni inutilmente lo sostiene.

Gli oggetti scordati e ritrovati all’improvviso generano sorpresa, e anche un po’ d’inquietudine e mistero, tanto più se le circostanze favoriscono, come stavolta, malinconia e rimpianto.

Ma quella gobba nella stoffa rassicura Emilio, gli dà la prova non cercata ma certa che il giubbotto non è lì solo perché, ora, il suo sguardo l’ha colto. E’ sempre stato lì da quando, tanto tempo fa, egli l’ha appeso dietro la porta e poi, semplicemente, dimenticato.

Emilio però continua a guardarlo, e adesso si sta convincendo che quella gobba nella schiena sia un muto rimprovero del giubbotto per l’abbandono nella casa vuota: – c’ero anch’io nel mondo, ma tu pensavi ad altro, alle tue chiacchiere, alle tue sceneggiate, a elaborare il lutto.

Ed è a questo punto che Emilio cade nella trappola: – sta’ zitto tu, che hai bisogno di me per esistere.

Basta poco a uscirne. Il giubbotto, irrigidito dagli anni, allungato dal suo stesso peso, è staccato dal piolo, scosso dalla polvere. Poi Emilio serra le finestre, chiude a chiave la casetta, va all’automobile, butta quella vecchia cosa sul sedile posteriore – non sa ancora se la getterà o no–, e parte.

La vettura sobbalza sulla strada di campagna e distribuisce imparzialmente gli scossoni al giubbotto e al guidatore. Che a un tratto si volta a guardarlo come fosse un cane, e quasi sorride.