Storie

Storie Brevi – Sono le contraddizioni
Assassino

Il bambino sta pescando da più di due ore, fermo sotto il sole che scotta sulla riva del laghetto chiamato pomposamente San Silvano, che in realtà è una fossa d’allevamento per pescatori a un tanto per pesce facilmente preso.

E di pesci ne ha presi un bel po’, il piccolo. Il suo secchiello è già quasi pieno di cavedani, che saranno di due-tre etti l’uno. Sotto il berrettino trapunto di ami di scorta, il suo attento visetto occhialuto irradia eccitazione.

Il padre sta seduto all’ombra su una panca davanti al casotto del gestore e legge un libro. Ogni tanto alza lo sguardo verso il figlio, abbigliato di tutto punto alla pescatora, alti stivaloni di gomma, panciottino a cento tasche, cassetta di attrezzi accanto, ed è felice della sua felicità.

Il bambino non ha ancora otto anni ma sa già tutto sui pesci di mare e d’acqua dolce fluviale, lacustre e palustre, e sulle tecniche e gli strumenti per prenderli: canne per la pesca sportiva al colpo – all’italiana e all’inglese –, al tocco, al bolentino, al lancio, lenze con diametri di sezione e resistenza alla trazione adatti ai diversi tipi di pesca, galleggianti a pera e fusiformi per acque correnti o ferme, piombi di zavorra di varia pesatura, ami con attacco a paletta, a occhiello, a cruna d’ago, esche naturali e artificiali con cucchiaino a paletta rotante… Nomenclatura infinita come tutte le nomenclature, imparata meglio delle tabelline grazie alla lettura assidua delle riviste specializzate che s’ammucchiano nella sua stanzetta.

Papà! Papà! grida il pescatorino, vieni a vedere! Il padre s’affretta libro in mano e il figlio esibisce trionfante una trotella, che gli si divincola tra le dita. E dopo averla mostrata, il piccolo la sbatte indifferente contro un sasso per porre rapidamente fine alla sua agonia. Bravo, dice il padre, e torna a leggere all’ombra.

A mezzogiorno il secchiello è ormai colmo, è ora di smettere e di rincasare. Il padre paga il prezzo del pescato e sistema nel bagagliaio dell’auto pesci e attrezzi. Poi, bambino seduto dietro, s’avviano lungo la strada piena di curve che dalle colline riporta alla città.

Oggi ci faremo una bella scorpacciata alla griglia con i tuoi pesci, dice guidando il padre, e la trotella sarà naturalmente per te – e intanto pensa: i cavedani sono pesciacci scadenti, pieni di spine, ma tutto sommato mangiabili come sa cucinarli la moglie con le sue erbe saporite.

La trotella la faccio assaggiare alla mamma, dice il bambino. E dopo un po’ domanda: papà, davvero tu non hai mai pescato, proprio mai mai?

Mai, il padre non ha mai né pescato né cacciato in vita sua. Al bambino sembra impossibile, chiede perché.

Ti racconterò una storia, una storia vera, dice il padre. Quand’ero piccolo, avrò avuto quattro-cinque anni, abitavamo in una villetta alla periferia, con un grande giardino attorno. Avevamo un canarino, e d’estate la mia mamma – la tua nonna –, l’appendeva fuori a un chiodo nella sua gabbietta, in un posto all’ombra in alto sul muro della casa, perché prendesse aria.

Una mattina presto, mentre sto giocando con la ghiaia del giardino a tirare i sassolini più lontano possibile, mi viene in mente di mirare alla gabbia, come un mio amico, bravissimo a centrare un bersaglio a dieci passi e anche più.

Io tiro e tiro, ma non riesco a prendere la gabbia, benché sia molto vicina. Non penso al canarino, solo alla gabbia.

Vado avanti per un po’ mirando bene, e finalmente la centro! Ma il sassolino entra dentro e colpisce l’uccellino. Il canarino cade giù dal trespolo, riverso sul fondo della gabbia, agita un attimo le zampette, resta immobile. Mi avvicino spaventato, mi arrampico su uno sgabello, guardo dentro, non si muove, infilo un dito, lo tocco, proprio non si muove.

Corro in cucina, chiamo mamma mamma, il canarino s’è addormentato, non si sveglia, vieni a vedere. La mamma esce, apre la gabbietta, prende l’uccellino, lo tiene steso sul palmo della mano. E’ morto, dice. Poi guarda dentro nella gabbia, vede il sassolino, mi fissa: sei stato tu.

Volevo solo centrare la gabbia, non volevo…, dico io mettendomi a piangere.

Vallo a raccontare al papà, che è già sveglio e si sta lavando, dice la mamma.

Entro in casa, vado al bagno, busso e socchiudo la porta: papà papà, singhiozzo, ho ucciso il canarino con un sasso.

Il papà, che si sta facendo la barba, al solito fumando, mi guarda con due occhiacci, si toglie la sigaretta di bocca e mi urla: assassino!

Ma io non volevo, volevo solo centrare la gabbia, grido piangendo forte.

Il papà mi riguarda e ripete ancora urlando: assassino! Si rimette la sigaretta in bocca e riprende a radersi.

Mio papà – che era tuo nonno –, se ne intendeva di assassini perché era avvocato. Se lo diceva lui, ero davvero un assassino. Io ho smesso di colpo di piangere e ho sentito un brivido nella schiena. Ho chiuso la porta del bagno e sono tornato in cucina con le gambe che mi tremavano.

Cosa sarebbe successo? Mi avrebbero messo in prigione? Ho attraversato muto la cucina. La mamma doveva aver sentito il papà urlare nel bagno la sua sentenza, ma non mi ha guardato e detto una parola.

Sono uscito in giardino e mi sono seduto disperato su un gradino.

Dopo un po’ ho sentito una voce dietro di me: bisognerà seppellirlo. Era il mio nonno – il tuo bisnonno – svegliato dal trambusto. Mi si è seduto accanto abbracciandomi, e io ho di nuovo pianto e singhiozzato. Mi ricordo che gli ho bagnato di lacrime tutto il pigiama.

E poi lo avete sepolto?, chiede il piccolo pescatore appoggiando le braccia sul sedile davanti.

Certo, sotto una pianta di rose gialle. E il mio nonno, mentre lo seppellivamo, mi ha detto: giura solennemente che in vita tua non ucciderai più nessuno. Io ho giurato e mi sono subito sentito meglio. E spero proprio di non dover più uccidere nessuno, finché scampo.

Tacciono, il padre che guida, il figlio dietro, fino alle prime case della città.

Papà, però tu i pesci li mangi. Anche la carne. E anche il pollo.

Ma che bella obiezione, pensa il padre sorpreso e compiaciuto, come ragiona bene, ha già capito dove va a finire il discorso.

Non sa cosa rispondere. Poi dice: hai ragione, le mucche, le galline e i pesci io li mangio ma non li uccido. Ci pensa il macellaio. Ma sono anch’io colpevole, siamo tutti colpevoli.

Pausa.

Però, l’arrosto col purè, il pollo con le patatine, il pesce alla griglia, dai, come li cucina la mamma, sono troppo buoni, come si fa?

Sono arrivati a casa, il bambino porta trionfante in cucina i pesci alla mamma, Eva tentatrice. Lei e il papà sono tanto fieri del loro pescatorino.