Storie

Storie Brevi – Sono le contraddizioni
Formiche in dicembre

Il vecchio apre gli occhi alle sette in punto come sempre, nonostante sia stato sveglio a leggere fino alle tre di notte. Ormai è così, ha l’orologio in testa, non riesce ad addormentarsi prima o a svegliarsi dopo, e a ridormire per un’oretta, fino alle otto andrebbe bene, meglio le nove, visto che non ha padroni e, soprattutto, nient’altro da fare. Salvo poi cascare dal sonno a mezzogiorno.

Ciabattando va verso il bagno, passando dalla cucina. Porca miseria. Infiniti puntini neri gremiscono il mucchio di pentole, posate e piatti sporchi abbandonati sull’acquaio (si sa, ogni cosa dovrebbe essere lavata subito dopo i pasti, ma ormai da un bel po’ la pigrizia ha la meglio sulla regola). Sono migliaia e migliaia di formiche affaccendate a prelevare particole invisibili dal ricco bottino di rimasugli del giorno prima, colazione, pranzo e cena.

E altre stanno arrivando. Una fila scura alimenta l’invasione. Dilagano ovunque. Inforca gli occhiali, si china a guardare da vicino. Il flusso frenetico è in due direzioni: alle operaie che vengono a rifornirsi di cibo si alternano quelle che se ne vanno con la minima preda tra le mandibole, senza che il loro avvicendarsi perda ritmo, nonostante ognuna sembri scambiare rapidi segnali con ciascuna di quelle che incontra. Oltre l’acquaio, la carovana vibrante di zampette e antennine attraversa in diagonale il deserto bianco del muro, si arrampica sulla cornice dalla porta che dà sull’antibagno, la percorre tutta in salita e discesa, e si perde dietro il frigo.

Strano, le formiche in dicembre. Di solito compaiono all’improvviso, in primavera e qualche volta in settembre e, sbrigato l’approvvigionamento delle scorte, spariscono in pochi giorni. Quest’anno, già alle soglie dell’inverno occupano i punti strategici di rifornimento. E non pare vogliano andarsene. Sarà per i mutamenti climatici, gli autunni che si allungano fin quasi a Natale. Che siano argentine? Il vecchio ne ha sentito parlare, ma non sa come si distinguano dalle nostrane, non sa nemmeno se esistano davvero, non ha nessun interesse per gli insetti, salvo il fastidio.

Accende la radio. Stanno rievocando il genocidio degli Armeni nel 1915. Registrazioni d’archivio testimoniano di stupri, misfatti e orrori che hanno preceduto d’un ventennio i nazisti. Ma ce n’erano stati altri prima, alla fine dell’Ottocento, e anche prima di prima. Un anziano superstite, emigrato in America, racconta di donne e bambini rifugiati in una chiesa, di benzina sparsa, porte sbarrate e tutto dato alle fiamme.

Il vecchio scuote la testa. Storie ricorrenti, efferatezze ormai di routine. Che mondo.

E che guaio: la caffettiera e la scodella lasciate nella conca nereggiano di formiche. Apre il rubinetto del lavello. L’acqua le trascina via in un attimo a centinaia nello scarico. Molte scampate corrono qua e là cercando salvezza. Ma altre, moltissime, che non si sono ancora rese conto del pericolo, sopraggiungono a prendere il posto delle compagne travolte.

Mette la caffettiera sul gas. Versa il caffè fumante nella tazza, aggiunge il latte e lo zucchero (per fortuna irraggiungibile nel barattolo ben chiuso), inzuppa qualche biscotto (anch’esso protetto da una scatola ermetica), guarda una formica isolata che s’è avventurata sulla tavola, sarà un’avanguardia in esplorazione. Scuote ancora la testa. Escogitare qualcosa per liberarsene.

Non è che le formiche gli provochino crisi isteriche, ma ora sono tantissime, non se ne vanno, stanno diventando un problema. Non sono scarafaggi, sono troppo piccole per fare, una per una, schifo. Ma quando sono troppe, quando sono una massa, lo fanno. Quando si esagera, si esagera.

Finisce la colazione, va a lavarsi, sistema la dentiera, rientra in cucina.

La radio sèguita a parlare del genocidio. Non sapeva che il pretesto fosse la grave sconfitta subita dai Turchi a Kars, all’inizio della prima guerra mondiale, anche ad opera di reggimenti armeni che combattevano dalla parte dei Russi. Finiamola con questi cristiani, pensarono i Turchi, e incaricarono i Curdi di provvedere.

Prima di tutto, individuare il nido. Il vecchio riscruta la fila nera fino al punto in cui scompare sotto il frigo. Non c’è dubbio, bisogna decidersi a spostarlo. Ce la farà da solo?

La rimozione risulta più semplice del previsto. Eccole lì, s’infilano in una fessura, nel punto d’incontro tra piastrelle e muro. Quello è l’ingresso del formicaio. Lì si deve agire.

Già, ma come? Versando dell’alcol nel buco e dandogli fuoco? No, troppo pericoloso. Forse la candeggina andrebbe bene. Prende il flacone dal ripostiglio, legge la composizione chimica: soluzione al 4,5 percento di ipoclorito di sodio (NaClO). Cloro. Le esalazioni di cloro uccidono i marinai dentro i sommergibili, ne ha visti tanti morire così nei film di guerra sui mari, sarà uguale con le formiche.

È indispensabile che la candeggina vada più a fondo possibile nel nido. Serve una siringa. Ne è rimasta qualcuna, nell’armadietto delle medicine, dopo l’ultima terapia.

Funziona perfettamente. L’operazione è ripetuta tre volte, fin che il liquido trabocca dalla fessura, segno di un allagamento completo. Le formiche attorno hanno rotto la fila, si aggirano disorientate, cercano il nido che non c’è più.

Anche il vecchio è preoccupato. Tante formiche, che non sanno dove andare, si spargono in giro sul pavimento. Idea: usare l’aspirapolvere. Lo prende dal ripostiglio e l’attacca alla presa. Ottimo: la macchina risucchia in un attimo schiere intere di invasori. Facilissimo. L’occasione è buona per togliere lo sporco che s’è accumulato per anni sotto il frigo. Ecco fatto.

Qualcuno racconta intanto alla radio che gli Armeni non vennero uccisi tutti subito. A migliaia furono cacciati nel deserto, a morire di sete e di fame.

A questo punto occorre lavorare sul resto delle formiche, che presidiano il piano dell’acquaio, ignare della sorte del nido. Qui basta riaprire il rubinetto, passare sotto il getto stoviglie, pentole e posate, poi con una spugna radunare in piccole masse gli insetti rimasti e sospingerli verso il gorgo inesorabile. Ci vuole un po’ di tempo e di pazienza per individuare i nascosti, inseguire gli ultimi fuggitivi, due tre addirittura sulle mani e nelle maniche, liberare completamente il campo. E poi procedere al lavaggio col detersivo, al risciacquo, alla sistemazione finale delle stoviglie sullo scolatoio.

Passano pigri due giorni. La mattina del terzo, l’acquaio nereggia di nuovo, la fila scura s’allunga sempre verso il frigo! Che fare, si domanda il vecchio sgomento.

Chiederà al ferramenta, alla signora Gina, che sa tutto quello che serve sapere e avere per la casa.

Le formiche, dice la signora Gina, hanno l’acido in corpo, l’acido formico. La candeggina gli fa solo il solletico. C’è la polvere, ma si rischia di portarla in giro camminandoci sopra. Meglio di tutto è la schiuma attiva al 0,04 per cento di ciflutrin in bomboletta. Vede? Si spruzza con questa speciale cannuccia, è un veleno potentissimo per loro, ma anche per lei, stia attento a non respirarlo, dia aria al locale. Per tre mesi può stare tranquillo, poi dovrà spruzzare di nuovo.

Tre mesi soltanto. E tappare il buco del nido?

Può provare con questo cemento a pronta presa, dice la signora Gina ponendo sul banco una confezione di cartone da un chilo, ma non è che sia definitivo, quelle si mangiano persino la pietra. Però può servire per un po’, fin che non si rifanno un’uscita. In tutto fa 9 euro e 50.

Appena rincasato, il vecchio sposta nuovamente il frigo, apre le finestre, inietta la schiuma, che seccandosi diventa trasparente. Stempera in un piatto un paio di cucchiaiate di cemento, spinge bene la pasta col dito dentro la fessura, la spalma con cura lungo un tratto del muro. Poi spugna, acqua, straccio.

L’ordine regna finalmente in cucina, almeno per tre mesi.