Storie

Storie brevi – Cosa so?
Ossa e pepe

Gli autobus della gita scolastica sono arrivati puntuali davanti all’ossario dei caduti nella famosa battaglia del Risorgimento. Maschi e femmine sono scesi chiassando, e maestri e maestre li hanno radunati sul prato, davanti alla torre monumentale che domina il panorama di bassi colli degradanti verso il lago, tra macchie d’alberi e ordinate coltivazioni, nella mattina calda e limpida.

Un signore con la barba ha chiesto silenzio e ha raccontato la storia della battaglia, avvenuta proprio qui, ha detto, dove siete voi. Questi filari di viti e questi frutteti hanno visto assalti e contrassalti, combattimenti accaniti e sanguinosi, e straordinari atti di coraggio.

I bambini si sono guardati attorno, increduli che un posto così tranquillo e poco eroico avesse visto tanto.

I nostri hanno vinto, ma sul campo, alla fine della giornata, giacevano centinaia di morti di entrambe le parti. Ora essi riposano assieme qui, ha concluso il signore con la barba indicando la torre, esempio di eroismo e monito a tutti noi.

I bambini sono entrati nel sacrario in fila per tre, passando intimiditi e silenziosi tra bandiere lacere e reliquie di guerra, lunghissimi fucili arrugginiti, baionette, cannoni.

Oltre un cancello chiuso hanno intravisto, in una sala semibuia, ossa e ossa impilate in perfetto ordine, femori, tibie, pèroni, ulne, clavicole, e sopra teschi e teschi, chiostre di denti, occhiaie vuote.

Osservate che spesso i crani hanno un buco nella calotta, ha spiegato il maestro. Di lì è passata la palla mortale. Se a quel tempo avessero avuto l’elmetto, forse molti si sarebbero salvati.

Io quando farò la guerra porterò sempre l’elmetto, ha sussurrato un bambino al compagno.

All’uscita nel sole hanno provato un gran sollievo, la voglia di correre, di fingere la battaglia, di lottare ruzzolando sul prato. Le bambine, più gentili, hanno giocato a inseguirsi, strillando eccitate.

Lunghi tavoli, apparecchiati per un pranzo semplice all’aperto, attendono scolari e insegnanti ai margini del prato. A mezzogiorno gli autisti dei bus aprono gli sportelloni dei bagagliai e ciascuno può prelevare il suo zainetto con le provviste portate da casa.

Gli insegnanti annunciano che verrà servita una minestra calda. Poi potranno mangiare il resto. Bambini e bambine, divisi per classi, siederanno di fronte, ai due lati dei tavoli. Prendono posto tra raccomandazioni alla calma, richiami all’ordine.

I maschi nascondono la timidezza frugando nello zainetto e scherzando tra loro con gesti bruschi e voci troppo alte. Guardando appena con rapide occhiate le femmine, che siedono compunte, parlandosi all’orecchio e ispezionando i pacchetti preparati dalle mamme, panini col prosciutto e mozzarella, cotolette con le patatine, frittate, un mandarino.

Al centro dei tavoli, con le bottiglie d’acqua minerale, sono disposte tazzine piene di sale e di pepe. In attesa della minestra, uno dei maschi finge di soffiare il pepe contro il suo vicino, che reagisce rovesciando la tazzina sul tavolo. Un altro, due sedie più in là, subito imita lo scherzo, però contro la bambina bionda che gli sta di fronte. Ma è goffo, gli scappa un soffio vero e il pepe va negli occhi azzurri della piccola, che urla, cade all’indietro, si rialza disperata di dolore, si preme le mani sul viso, il pepe le brucia forte.

Accorre la maestra, le compagne spiegano agitate, indicando tutte assieme il colpevole, fermo dall’altro lato del tavolo, stupefatto.

La bambina è soccorsa, le versano acqua sugli occhi già enfiati, ma non serve. Chiamano un autista che la porta via in braccio, la carica su uno dei bus, parte per l’ospedale.

Il bambino del pepe è sempre fermo al suo posto, i compagni si sono allontanati da lui, il maestro lo prende per un braccio, lo scuote urlando.

Non ho fatto apposta, mormora e comincia a piangere.