Storie

Storie Brevi – La memoria
T come Testimone

Un pomeriggio d’autunno un praticante giornalista in una sede periferica di un’agenzia di stampa esce dal frastuono della sala telescriventi con un lungo foglio di notizie appena giunte, e va nella stanza del suo capo.

Lo trova in piedi che parla con un giovane rannicchiato su una sedia. Il capo glielo presenta: è uno scrittore esordiente e viene da una città vicina. A diciott’anni ha scritto la sua opera prima, un romanzo invenduto ma molto lodato da critici autorevoli per la qualità dello stile e l’originalità del racconto, la storia di un’amicizia tra due ragazzi, tra sogno e realtà, senso di morte e amore di vita.

Il praticante ha letto il libro senza afferrarne troppo qualità e originalità. Ma prova grande ammirazione, e anche invidia, per quel giovane che è riuscito a portare a termine un romanzo e a farne parlare bene da persone importanti.

Lo scrittore esordiente riprende il suo discorso. Sembra molto abbattuto. Da pochi giorni lavora nel giornale locale e si lamenta di come lo trattano in redazione. Parla dell’ironia elegante del direttore e di quella meno elegante degli altri.

Il capo lo esorta a pazientare: col tempo le cose si accomoderanno. Poi si scusa di un impegno ed esce. Lo scrittore continua a chiacchierare col praticante. E’ incerto fra tener duro e far fronte agli atteggiamenti dei colleghi, o piantar tutto e andarsene. “Secondo te, che cosa devo fare?” gli domanda.

Il praticante risponde qualcosa, badando più che altro a far “bella figura” con quel che dice piuttosto che ad offrire consigli utili, che del resto non sa bene quali possano essere.

Continuano ancora un poco a parlare. Poi lo scrittore, sempre abbattuto, se ne va.

Più tardi il capo, tornato in ufficio, gli completa il quadro: il padre del romanziere – anzi il patrigno, perché ne ha sposato la madre –  è un giornalista ben inserito nella sua città. Ama il figliastro ma gli rimproverava la vita disordinata, gli studi interrotti, l’incertezza sulla strada da intraprendere.

Il fatto che abbia scritto un romanzo “originale” e accolto con interesse dalla critica non è un punto di merito ma un’aggravante. Per allontanarlo dai pettegolezzi e dalle invidie, e – qualcuno maligna –, per toglierselo di torno, il patrigno gli ha trovato un posto nella città più vicina. Ma qui il romanziere esordiente si è evidentemente imbattuto in altre invidie locali di scrittori velleitari, che non mancano mai nelle redazioni dei giornali, specie in provincia.

Atteggiamenti forse accentuati da un’antica rivalità tra comuni confinanti. La città del romanziere ha una tradizione di scrittori celebrati mentre quella che ora lo ospita, tra invidie e ironie, può vantare soltanto – stringi stringi – un traduttore di Omero, qualche poeta minore di cui uno dialettale, qualche buon giornalista-saggista arrivato a grandi testate e un solo narratore famoso, ma di avventure per ragazzi, oltretutto emigrato e morto male altrove. Per il resto, è considerata patria di allegri bevitori di vino.

Due giorni dopo, il capo dice al praticante che il romanziere ha lasciato il giornale ed è sparito.

Non è in realtà sparito. Si è trasferito in una grande città e ha trovato un primo lavoro presso un editore.

Questo il praticante non lo apprende subito ma anni dopo, quando legge una biografia dello scrittore, divenuto col tempo famoso. Non è necessaria la biografia, del resto, per seguirne i successi. Escono i suoi romanzi, i racconti, gli articoli, le corrispondenze di guerra. Da una sua storia hanno ricavato un film. E’ diventato un protagonista della vita letteraria e qualche volta lo intervistano per conoscere le sue idee. E’ uno scrittore schivo e solitario, che non segue le mode, ma questo ne aumenta l’interesse.

Un altro letterato importante, che deve stimarlo ed essergli molto amico, ha scritto su un grande quotidiano del suo “sorriso sornione, quell’ammicco guizzante, da scugnizzo, che tanto spesso gli ho visto apparire sul volto per prendersi gioco di qualcuno di qualcosa o di se stesso.”

Anche il praticante ha fatto nel frattempo la sua piccola carriera. E’ diventato giornalista professionista, si è trasferito in una città di mare, ha cambiato mestiere, è andato in pensione.

Dello scrittore conosciuto giovane crede ora di capire molte cose. Gli piacciono soprattutto certi racconti brevi, che hanno inizi fulminei e finali che sembrano inconclusi ma sono invece molto “moderni”. Tanto gli piacciono che ha tentato, senza riuscirci, di imitarli.

Un giorno, dopo aver letto uno di quei racconti, gli scrive una lettera.

Gli ricorda del loro lontano colloquio, quando era stato testimone di un suo momento di crisi e – pensa – di una scelta decisiva.

Rannicchiato su una delle sedie scomodissime dell’ufficio, Lei sembrava proprio quello gnomo di cui ha scritto recentemente il Suo amico Calvino.

Divenuto Lei famoso – continua la lettera – il nostro brevissimo incontro è entrato naturalmente a far parte del mio repertorio di aneddoti. Arricchito nel tempo di particolari e varianti, il mio racconto ha un immancabile effetto comico quando, nel finale, si scopre che alla Sua domanda: Secondo te, che cosa devo fare?, io non riesco a ricordare la mia risposta. Per caso si rammenta di me e di che cosa Le consigliai? Le accludo il necessario per rispondermi con il minimo disturbo.

Segue una spiritosata – la lettera è infatti scritta non tanto per sapere quale fosse stata effettivamente la risposta ma, ancora una volta, per fare “bella figura” –. Lo scrivente include una cartolina-questionario già affrancata nella quale si suggeriscono alcune possibili risposte da segnare con una croce:

Lei mi consigliò:

 di seguire la vocazione
 di seguire il destino
 non mi diede un preciso consiglio ma si limitò ad una risposta generica e interlocutoria
 non ricordo né Lei né la Sua risposta
 (altra risposta)

Il pensionato imbuca la busta raccomandata e comincia ad aspettare. Dopo qualche giorno, sfogliando la sua raccolta di ritagli – li ripone con cura ma non riesce mai a rintracciarli quando gli servono –, si accorge di aver commesso due errori imperdonabili: ha sbagliato tanto il nome dell’articolista quanto la citazione.

Accidenti, La Capria, non Calvino! E scugnizzo, non gnomo!, esclama imprecando con uno scatto di rabbia. La sua distrazione gli ha come sempre rovinato all’ultimo momento l’occasione di una “bella figura”. Poi cerca di dimenticarsi della lettera.

Ma, passato qualche altro giorno, la cartolina-questionario gli arriva di ritorno puntualmente. Lo scrittore ha riempito l’ultima riga con otto parole e la firma: “Ricordo Lei ma non la Sua risposta. Cordialmente Goffredo Parise” .