Storie

Storie Brevi – La memoria
Malato

Tutti i giorni, andando in tram in ufficio, Emilio scorge il malato seduto nella sua casa, dietro i vetri della porta-finestra che mette su un cortile. L’edificio è alto e ben costruito, irto di esili comignoli e circondato da uno spazio destinato in origine a giardino, secondo il modello dei quartieri residenziali di buon livello di un secolo fa.

Case uguali da tutti i lati, tanto che ognuno potrebbe essere la facciata. Così una dà su una via divenuta oggi popolare, non più percorsa da generazioni di capi ufficio, ma da pensionati o impiegati di grado inferiore, artigiani e operai che vanno e tornano dal lavoro, dalle loro mogli con le borse della spesa, e dai soliti scolari, ma non più accompagnati dalle cameriere.

Due facciate guardano, ai fianchi, quelle simili delle altre case, mentre il quarto lato affonda fino al primo piano sotto la scarpata ripida di una strada costruita in anni recenti per le nuove esigenze del gran traffico, sulla quale passano, con il tram di Emilio, auto, moto, bus, furgoni, grandi camion.

I giardini non sono più curati come dovevano essere stati un tempo, appaiono anzi per la maggior parte abbandonati o trasformati in magri e disordinati orti. In molti si vedono canili e gabbiotti approssimativi, costruiti con pezzi di legno e tettoie ondulate di recupero, per allevarvi galline e conigli o per custodirvi rastrelli, badili e altri strumenti di lavoro.

Davanti ai gradini, che dalle porte-finestre scendono negli ex giardini, chi abita al pianterreno ha ricavato spesso uno spiazzo per i giochi dei figli piccoli, per lo più cementato o lastricato con vecchie piastrelle. Al bordo di alcuni è stata costruita un’altalena.

Non però nel cortile della casa in cui abita il malato, davanti alla quale i tram rallentano, quasi si fermano a uno scambio, e consentono di guardare bene giù dalla scarpata.

Malato è solo in parte la parola giusta, ma non piace a Emilio pensarne altre, anche perché non saprebbe bene quale scegliere tra le meno offensive. Il malato che egli vede dal tram è sicuramente un ritardato mentale, affetto da non sa quale morbo. Magrissimo, di età indefinibile, ma si direbbe giovane, venti o trent’anni, è seduto su una poltrona di vimini, le gambe avvolte in una coperta scura, la testa piccolissima leggermente piegata e abbandonata su un cuscino, e gli occhi persi, ma che si muovono un po’ – pare a Emilio, per quel che riesce a scorgere–, ai richiami di immagini o suoni, come al passaggio del tram. La piccolezza del cranio è la cosa che colpisce di più, in contrasto con la faccia lunga e scarna, il mento che cade, le mani scheletrite, una delle quali pende senza forza dal polso aguzzo.

Nella buona stagione la porta-finestra è spalancata, certi giorni il malato è sistemato con la sua poltrona all’aperto, sul ballatoio, un cagnetto sdraiato ai suoi piedi, e si può osservarlo meglio. Sulle sue ginocchia è posato talvolta un grande volume aperto, probabilmente la raccolta di una rivista illustrata. Un giorno Emilio l’ha visto sforzarsi di girare piano, con fatica, una pagina con l’unica mano che sa muovere, per guardare, così sembrava, le figure.

Dietro la porta-finestra c’è il tinello. Si intravede qualche angolo di mobile, quando il sole irrompe nella penombra della stanza. Vi è stato collocato recentemente un divano alla turca a grosse righe vivaci, che proseguono in un telo steso sulla parete. Il locale attiguo è la cucina, dove sta quasi sempre una donna in vestaglia, certo la madre. E’ intenta alle faccende, ma la sua bocca dice che parla continuamente al malato, e ogni poco si avvicina per dargli un’occhiata.

La donna lo tiene puntigliosamente ben in ordine. Solo una mattina il figlio aveva i capelli ancora arruffati dal sonno, e la sommità del suo minuscolo cranio si mostrava nuda, forse per il lungo giacere contro il cuscino, ma la madre era già lì, pronta con la spazzola a ravviare e nascondere come poteva le precoci calvizie.

Dal tram, a volte, Emilio scorge, oltre le finestre, nuovi brevi spezzoni di vita di quella famiglia: la mamma che cuce a macchina, rassetta un letto matrimoniale, passa l’aspirapolvere sul pavimento in un’altra stanza. Ma sempre girando di tanto in tanto la testa verso il punto dov’è il malato.

Se càpita che Emilio rincasi tardi, all’ora di cena, la donna è seduta nel tinello illuminato alla tavola apparecchiata, accanto al figlio, che ha un grande tovagliolo annodato al collo, e lei lo imbocca con lente cucchiaiate. Anche un’altra persona siede a tavola, un uomo, defilato. Se ne scorgono solo le mani, che stringono le posate.

Una sera Emilio passa ancora più tardi e l’uomo, certamente il padre, è sul divano, ma se ne vedono soltanto le gambe e un braccio. Vicino a lui, sulla poltrona, nella sua posizione storta, sta il malato. Lampi di luce azzurrina di un televisore ne schiariscono a tratti il volto spento. La madre è in cucina e ripiega la tovaglia.