Storie

Altre Storie – Telestorie
Treno Trino

Un treno fermo in stazione. In uno scompartimento vuoto una telecamera zooma fino a inquadrare tutto il finestrino. Da qui in poi: sempre camera fissa.

Oltre lo spazio del finestrino si vedranno soltanto tre finestrini di tre scompartimenti attigui e vuoti di un altro treno fermo sul binario accanto. La telecamera dovrà essere collocata molto in alto, in modo da riprendere il massimo possibile dei sedili e degli spazi nei tre scompartimenti di fronte.

Tra poco una coppia occuperà ciascuno dei tre scompartimenti e ignorerà ciò che avviene negli altri due. Chiusa nell’universo del proprio scompartimento, ogni coppia – e un terzo personaggio entrato successivamente – compiranno e assumeranno certi gesti e atteggiamenti, che saranno descritti con parole simili.

Gesti e comportamenti dei personaggi di ogni scompartimento dovranno essere uguali e sincronici. Ma scopi e significati del loro agire saranno diversi o addirittura opposti, come risulterà dal contesto. La sincronicità farà sì che i nove personaggi appaiano come agenti in un’unica storia.

Nel linguaggio delle immagini in movimento la sincronicità degli accadimenti è sempre immediatamente percepibile. Non altrettanto nel linguaggio statico di queste parole scritte.

Per agevolarne la lettura, la narrazione sarà pertanto qui suddivisa in blocchi progressivi affiancati e indicati con lettere corrispondenti a ciascun scompartimento: (S)inistro, (C)entrale, (D)estro.

Le tre scene saranno mute (si udranno solo i rumori di fondo di una stazione ferroviaria) e dovranno compiersi in un’unica sequenza, senza stacchi. È chiaro che si tratta di una storia comica, ripresaalla stessa velocità delle vecchie care Comiche finali.

Tradurre in immagini dinamiche le tre storie concomitanti – supposto che a qualcuno venga in mente di farlo – non sarà facile per il regista e per gli attori (o, meglio, mimi).

Il loro compito potrebbe essere facilitato oggi dalle tecniche digitali, che consentono di realizzare, per ciascuno dei tre finestrini/scompartimenti, sequenze separate (magari con gli stessi attori opportunamente truccati in modi sommari e ridicoli), da montare, assiemare e sincronizzare poi con comodo col sistema split screen e con altre diavolerie elettroniche. E con costi certamente spropositati all’esiguità del tema.

Le parole hanno questo di buono: servono a formulare – avendo tempo – una quantità di ipotesi senza spendere una lira (o, al massimo, con il solo costo della carta, dell’inchiostro e della corrente elettrica che fa vivere il computer).

Le parole descrivono qui separatamente gesti e azioni dei protagonisti in ciascun scompartimento. La distribuzione delle frasi nelle tre colonne tenta come può di suggerirne il sincronismo e le analogie.

Tutto dovrebbe però essere verificato nell’ipotetica evenienza della messa in scena, aggiustando opportunamente gesti e azioni, per mettere a punto un meccanismo mimico perfettamente funzionante in ogni sua parte e nell’insieme.

Il sincronismo è, in ogni caso, essenziale in questa storia comica

Potrebbe esserlo anche nella Storia con la esse maiuscola – con effetti decisivi – se i se fossero ammissibili in una disciplina così insopportabilmente deterministica.

Se Caio Giulio Cesare fosse capitombolato dal suo seggio curiale – essendogli scivolato il gomito sul bracciolo d’avorio – nel momento esatto in cui Marco Giunio Bruto e compagni stavano per estrarre i pugnali… E se, contemporaneamente al dittatore finito col sedere per terra sotto la statua di Pompeo, fosse caduto a gambe all’aria anche Cimbrio Tillio che s’era appoggiato a lui fingendo di postulare una grazia… E se a Cesare fosse andata di traverso la corona triumphalis di foglie d’alloro che egli portava sempre (come attesta Svetonio), per dignità e per calvizie… E se a Cimbrio Tillio si fossero contemporaneamente e con perfetto sincronismo scoperte le terga… Forse i congiurati (e perché no il saevus Caesar stesso), sarebbero scoppiati a ridere.

E il riso liberatore sarebbe forse servito ad evitare – se non una dittatura – conseguenze non meno gravi quali tante brutte tragedie (salvo il capolavoro del Bardo di Stratford-on-Avon) e tutte quelle complicazioni di rivedersi a Filippi.

S

Entra un uomo con occhiali neri e bastone bianco da cieco.

Ha una borsa nera a tracolla appoggiata sulla spalla destra. Brancola platealmente e saggia lo spazio col bastone

Dietro l’uomo cieco entra, brancolando anche lui esageratamente, un secondo uomo con occhiali neri e bastone da cieco.

Ha una borsa bianca a tracolla appoggiata sulla spalla sinistra.

Con molti movimenti anche troppo inabili e imprecisi e tastando qua e là col bastone, il primo cieco va in cerca del posto ma non riesce a trovarlo.

Si volta e sbatte di schiena contro il secondo cieco che perde gli occhiali, ma si china a raccoglierli con inattesa prontezza, se li rimette e riprende ad aggirarsi con le braccia sollevate come fosse disorientato.

Il primo cieco si scontra ancora col secondo, stavolta frontalmente. Entrambi si respingono e il primo arretrando finisce fuori nel corridoio.

Rientra subito, va senza incertezza verso il secondo cieco e comincia a picchiarlo col bastone.

I due ciechi cercano i posti guardando sopra gli occhiali. Ci vedono benissimo. Il primo cieco indica il posto in cui dovrà sedere il secondo, di fronte a lui, accanto al finestrino e l’altro obbedisce prontamente. Si siedono e si abbandonano con aria vigile contro lo schienale.

Contemporaneamente i due ciechi si tolgono gli occhiali. Si stropicciano gli occhi con le dita. Si rimettono gli occhiali. Cercano di sfilarsi dalle spalle le borse ma si intralciano a vicenda e le cinghie s’impigliano. Tentativi maldestri e strattoni le fanno impigliare di più.

Parapiglia di mani, di borse,di strattoni.. Le borse alfine si liberano ed entrambi i ciechi le appoggiano sulle ginocchia con uguali gesti di sfida.

I due si guatano in cagnesco attraverso gli occhiali neri. I loro volti sono vicinissimi.

Il primo cieco soffia parole evidentemente d’odio, continuando a guardare il secondo cieco sempre più in cagnesco.

Abbassa le mani che scompaiono alla vista. Sferra all’improvviso un pugno basso tra le cosce del secondo cieco, che dà segni di non aver gradito l’allungo.

Il secondo cieco si riprende e ricambia con un pugno rabbioso sotto la cintura. Tocca un punto delicato perché il primo cieco si piega dal dolore, ma poi tenta di afferrare per il collo il secondo cieco un po’ per scuoterlo, un po’ per strozzarlo, ma questi gli sfugge.

Si lascia andare contro lo schienale ad occhi chiusi, sollevando il mento e schiudendo la bocca, come a dire: “Che male”.

Il primo cieco continua a soffrire, il secondo solleva le braccia minimizzando: (“Eh, per un colpetto”). Ma l’altro si porta le dita alla bocca e se le morde con rabbia.

Il primo cieco si stende sul sedile, occhi chiusi (sotto gli occhiali). Si addormenta.

Il secondo cieco solleva senza esitazioni il tavolino pieghevole dello scompartimento, estrae dalla sua borsa un thermos e lo apre.

Tira poi fuori un cartoccio. Contiene un panino imbottito. Lo annusa compiaciuto e comincia a mangiarselo di gusto.

Finito il panino il secondo cieco beve dal thermos. e guarda al di sopra degli occhiali il primo cieco che dorme. Poi abbassa lo sguardo e osserva con piacevole interesse la borsa nera che egli tiene sulle ginocchia.

Allunga una mano ma ci ripensa. Si porta perplesso un dito alla bocca come a dire “Prudenza” e guarda l’ingresso dello scompartimento. Traffica un attimo con il tavolino e il thermos, si alza e va con gesto deciso a chiudere le tendine. Torna al suo posto e afferra cautamente la borsa del primo cieco. La apre, introduce una mano e fruga.

Tira fuori un coltellaccio da macellaio e lo rimette dentro. Poi estrae un altro involto grande come una mano. Lo apre e sobbalza: contiene proprio una mano. Di donna, mozzata al polso. A un dito brilla un’enorme pietra preziosa. Solleva di scatto la testa e digrignando i denti inveisce contro il dormiente, agitandogli contro la mano mozza, come a dire: “Volevi il brillante tutto per te!”.

Agitato e perplesso, agita molto le braccia, si passa la mano mozza tra i capelli spettinandosi tutto.

Frenetico frugare del secondo cieco nella borsa nera del primo (sempre dormiente). Dalla borsa escono, oltre al coltellaccio, manciate di collane e diamanti.

Il cieco trae da una tasca una lente da gioielliere. Se la sistema su un occhio dopo essersi portato gli occhiali sulla fronte e osserva da intenditore il malloppo, compreso il brillante sulla mano mozza.

Il secondo cieco balza in piedi: i gioielli sono una fortuna! Agita il pugno verso l’altro cieco. Perde l’equilibrio e cade all’indietro. Il cieco si rialza, afferra il coltellaccio e cerca di colpire il primo cieco al cuore. Manca il bersaglio e s’aggrappa al portabagagli. Il primo cieco si sveglia in quel momento , intuisce il pericolo e cerca di fermare l’aggressore che lo sta colpendo di nuovo, ma la difesa è inutile, il coltello penetra nel petto del primo cieco che si abbandona esanime e muore. L’assassino rimette nella borsa gioielli e mano mozza, riprende il bastone, esce dallo scompartimento lasciando le tendine chiuse.

Le tendine all’ingresso si scostano lentamente ed entra nello scompartimento un sacerdote altissimo che porta occhiali da miope con enormi lenti scure. Guarda verso il primo cieco esanime al suo posto, con il coltello nel petto.

Si leva il cappello salutando educatamente il morto. Gli chiede se deve richiudere le tendine. Nessuna risposta, le richiude. Va a sedersi di fronte al primo cieco, sente sotto di sé la borsa bianca del secondo cieco. Chiede se il posto è occupato: nessuna risposta. Sposta la borsa sul sedile accanto. Tira fuori un breviario, aprendolo guarda verso il primo cieco.

Si alza, si avvicina, scruta il grosso manico del coltello che spunta dal petto del morto. Gli scivola il breviario, per recuperarlo urta il morto, che si curva in avanti. Lo risospinge scusandosi contro lo schienale, si porta le mani al viso, si risiede.

Il sacerdote ci ripensa, si rialza, batte su una spalla del morto, lo interpella cortesemente. Si china fino a due dita dal coltello. Lo tocca, si accorge che è un coltello. Si risolleva di scatto, congiunge le mani, alza le braccia al cielo, poi si segna.

C

Entra un giovanotto vestito di nuovo, che stringe tra i denti una busta.

Regge una grossa valigia rosa con una mano e tiene sollevata con l’altra una sacca porta-abiti, anch’essa rosa.

Dietro il giovanotto si affaccia timidamente una donna giovanissima vestita di nuovo, con in mano una beauty-case rosa.

Ha tra i capelli un ornamento di fiori d’arancio. E’ chiaro che è una sposina.

Con due soli movimenti abili e precisi il giovanotto – lo sposino – deposita la valigia sul portabagagli e appende ben spiegata la sacca a un gancio.

Si volta e si toglie di bocca la busta con una mano mentre con l’altra prende la beauty-case dalla mano della sposina, che è rimasta trepida in piedi con le braccia sollevate come per aiutarlo.

Lo sposino dà contemporaneamente alla sposina la busta e un bacio. Sistema in un attimo la beauty-case e scivola fuori nel corridoio.

Rientra subito con un’altra valigia uguale ma grigia, la pone senza sforzo sul portabagagli e ricomincia a baciare la sposina.

Lo sposo riprende la busta dalla mano della sposina e ne estrae i biglietti di viaggio. Indica i posti prenotati in cui siederanno, uno di fronte all’altra, accanto al finestrino.

Si siedono nello stesso momento e si abbandonano con aria felice contro lo schienale.

La sposina si accinge a togliersi dai capelli i fiori d’arancio che le vanno negli occhi. Lo sposo l’aiuta amorevolmente.

Poi tocca allo sposo di liberarsi della giacca e della cravatta nuova fiammante e di aprirsi il colletto molto alto e rigido della camicia candida.

La sposina cerca di aiutarlo amorevolmente. La sue braccia si intrecciano con quelle di lui, che ne approfitta per afferrarle le mani, stringendole e baciandole.

I due si guardano teneramente, i loro volti sono vicinissimi.

Lo sposo mormora parole evidentemente d’amore, continuando a guardare la sposina sempre più con passione.

Le lascia le mani e abbassa le proprie che scompaiono alla vista. Le sta allungando verso le cosce della sposina, che mostra con un bacio di gradire l’allungo.

Il giovanotto si protende in avanti insistendo nell’allungo. Tocca un punto delicato perché la sposina ha un brivido d’eccitazione e appoggia le mani sulle spalle dello sposo un po’ per reggerlo, un po’ per esortarlo a continuare.

Si lascia andare contro lo schienale ad occhi chiusi, sollevando il mento e schiudendo la bocca, come a dire: “Che piacere”.

Lo sposo prosegue i suoi allunghi. La sposina ha un’espressione sognante. Solleva sensualmente le braccia . Porta le dita dello sposo alla bocca e le morde con amore

La sposina è sempre più abbandonata sul sedile con gli occhi chiusi.

Solleva una gamba e la pone sulla spalla dello sposo, che le toglie con la mano visibile la scarpa.

La sposina solleva anche l’altra gamba. Lo sposo le toglie l’altra scarpa, le bacia i piedi e comincia mordicchiarli di gusto.

La sposina è sempre più sognante contro lo schienale. Ora apre gli occhi e guarda lo sposo. Poi abbassa lo sguardo e ha un moto di lieto stupore, come avesse visto qualcosa di piacevolmente sorprendente.

Allunga una mano ma ci ripensa. Si porta la mano alla bocca come a dire: “Mio Dio, che imprudenza” e indica la porta dello scompartimento. Lo sposo traffica un attimo con i pantaloni, si alza e va con gesto deciso a chiudere le tendine. Torna dalla sposina. I due riprendono a baciarsi. Lo sposo introduce una mano sotto la gonna di lei e fruga.

La sposina si sdraia sul sedile e scompare in parte alla vista. Lo sposo si sdraia sopra la sposina. Si vedono di tanto in tanto solo le mani e le braccia della sposina aggrappate alle spalle dello sposo. Il quale improvvisamente solleva di scatto la testa. E’ spettinato. Parla alla sposina digrignando i denti come se inveisse contro di lei. Invece le sta descrivendo con la mano quello che si appresta a farle.

La sposina lo interrompe attraendolo verso di se come a dire: “Non parlare, agisci”. Gli accarezza la testa finendo di spettinarlo.

Confuso kamasutra di membra frementi e di abiti mezzo sfilati. Gli sposini si cercano con la bocca e con le mani brancicanti, ma no trovano mai la posizione giusta.

Nei vari tentativi i due si alternano alla vista: culetto con mutandine e gambe con calze e giarrettiere vecchio stile della sposina; sedere in mutande, calzoni calati e pedalini dello sposo.

Lo sposo cerca di congiungersi con la sposina sollevandosi in ginocchio sul sedile, ma perde l’equilibrio e cade all’indietro. La sposina lo trattiene appena in tempo.

Lo sposo si rialza e fa un altro tentativo: induce la sposina ad appendersi con le mani al portabagagli. Lui sale di fronte a lei e si appende a sua volta. Sembra che la cosa funzioni, ma improvvisamente i due perdono nello stesso momento la presa e cadono assieme, sparendo alla vista. Agitarsi di mani e di gambe. Non si capisce se gli sposini proseguano sul pavimento il loro tentativo di congiunzione, o cerchino semplicemente di rimettersi in piedi senza riuscirci.

Le tendine all’ingresso si scostano bruscamente, entra nello scompartimento una suora, che richiude subito. Guarda in basso nel punto dove braccia e gambe che si agitano dicono che i due sposini sono ancora sul pavimento.

La suora si porta una mano al velo che le ricopre la testa e se lo strappa, scoprendo una fluente capigliatura rossa. Poi solleva la tonaca e mostra una coscia tornita avvolta in una calza nera con giarrettiera rossa, dalla quale spunta il calcio di una grossa rivoltella. La suora la impugna e con una smorfia crudele ingiunge ai due sposini di rimettersi in piedi.

Gli sposini si alzano con le braccia levate. Alla sposina scivola la gonna, allo sposo i calzoni. La suora sogghigna e schiaffeggia la sposina, che scoppia a piangere e non sa se tenere le mani in alto o coprirsi il viso o tirar su la gonna.

La suora, inveisce contro lo sposo, gli batte la pistola su una spalla. Gli mostra la mano sinistra con un anello di fidanzamento. Con la stessa mano gli afferra qualcosa all’inguine. Per il dolore lo sposo si torce, alza le braccia afferrando la suora al collo.

D

Entra una donna grande e grossa con un enorme cappello.

Ha una borsetta sul braccio e una rivista di body-building maschile in mano. Va subito a sedersi e comincia a guardare le figure.

Dietro il donnone entra con difficoltà un uomo piccolo e magro che trascina stentatamente due valige spropositate e sformate. Tiene inoltre sotto le braccia due voluminosi pacchi.

Con movimenti faticosi e impacciati l’uomo magro deposita nello spazio tra i sedili le due valigione. I pacchi gli scivolano dalle braccia e cadono.

Si volta, inciampa in una valigia, casca e sparisce. Ricompare solo con braccia e gambe che arrancano. Sta tentando di rialzarsi. Il donnone seguita a leggere ignorandolo.

L’uomo magro riemerge, Vuol issare una valigia sul portabagagli ma perde la presa e casca fuori nel corridoio.

Rientra barcollando, sale sul sedile, solleva con grande sforzo la valigia ma scivola e cade sul donnone, che comincia a picchiarlo con la rivista e con la borsa.

L’uomo magro cerca con grande fatica di sistemare sui sedili i bagagli. Alla fine prende posto, di fronte alla donnona immersa nella lettura, accanto al finestrino.

Si siede con un sospiro di sfinimento e si abbandona con aria affranta contro lo schienale.

L’uomo magro estrae dalla tasca il fazzoletto. Si asciuga la testa calva e sudata, il viso, il collo. Si sbottona la camicia, infila dentro il fazzoletto e comincia ad asciugarsi il torso e le ascelle.

Il donnone ha un’espressione di disgusto e si tura il naso, continuando a leggere.

L’uomo magro si soffia tre volte il naso con forza crescente. La terza volta il donnone, spazientito, lo colpisce con la rivista sul naso, ingiungendogli di smettere.

I due si squadrano ostili. I loro volti sono vicinissimi.

Il donnone alita parole evidentemente di disprezzo, continuando a guardare l’uomo magro sempre più con astio.

Poi si china, come cercasse qualcosa sul pavimento e gli sferra un tremendo calcio. L’uomo magro alza uno stinco e dà segni ululanti di dolore. Non ha gradito.

Il donnone guarda ancora in giù, prende la mira e molla all’uomo una feroce pestata. Tocca un punto delicato perché il poveretto si torce per la sofferenza, solleva il piede colpito, fa un gesto di minaccia contro il donnone e le scaglia contro il fazzoletto.

Si lascia andare contro lo schienale ad occhi chiusi, sollevando il mento e schiudendo la bocca, come a dire: “Proprio sul callo”.

L’uomo magro continua a lamentarsi, il donnone gli ributta il fazzoletto e alza le braccia con stizza L’uomo ricupera il fazzoletto e lo morde con rabbia.

Il donnone si abbandona sul sedile con gli occhi chiusi. Vuole dormire e si copre la faccia con la rivista.

L’uomo solleva la gamba destra e poi il piede sinistro. Si massaggia stinco e callo. Tira fuori da un pacco un salamino. L’annusa. Guardando con odio il donnone che dorme, comincia a mangiarselo di gusto.

Finito il salamino, l’uomo magro trae dal pacco una bottiglia di vino e tracanna. Poi è attratto piacevolmente dalla copertina della rivista sulla faccia del donnone. Si vede un uomo muscoloso che stringe una corda.

Allunga una mano ma ci ripensa. Si porta pensieroso un dito alla bocca come a dire: “Questa è un’idea, ma prudenza!” e guarda l’ingresso dello scompartimento. Traffica un attimo con i bagagli sui sedili, si alza e va con gesto deciso a chiudere le tendine. Torna al suo posto e cerca di aprire l’altro pacco sul sedile, chiuso da una corda con molti complicati nodi.

Si applica faticosamente a scioglierli. Si arrotola la corda attorno ad una mano. Guarda nel pacco aperto e sobbalza. Ne estrae un gigantesco vibratore. Lo rigira, lo osserva a lungo, facendo mentalmente dei confronti.

Solleva di scatto la testa e torna a inveire contro la dormiente, digrignando i denti e agitandogli contro il vibratore, come a dire: “Sporcacciona, preferivi questo a me!

Agitatissimo, agita molto le braccia, si picchia sulla testa pelata la mano su cui è arrotolata la corda.

Confuso affaccendarsi dell’uomo magro col vibratore (non sa dove metterlo) e con  la corda, che continua a sfilarsi dalla sua mano. Tutto gli cade sul pavimento.

L’uomo magro si china e riemerge con le cose cadute Apre il tavolino e le sistema sopra alla meglio. Poi, sempre guardando con odio il donnone si riavvolge la corda su entrambe le mani.

L’uomo magro si alza, tende la corda alla maniera degli strangolatori, la porta verso la gola del donnone (che seguita a dormire), ma perde l’equilibrio e cade in avanti.

Si rialza, ricupera la corda, riflette. Occorre un altro metodo. Prepara un nodo scorsoio e ne prova la resistenza. Sale sul sedile di fronte e annoda la corda al portabagagli sopra il donnone per impiccarla. Perde l’equilibrio, s’aggrappa alla corda e penzola a un centimetro dal naso della dormiente.

Agita piano le gambe cercando un appoggio per scendere e faticosamente ci riesce. Per fortuna il donnone non s’è accorto di niente e continua a dormire.

Le tendine all’ingresso si scostano laboriosamente ed entra nello scompartimento un grassissimo frate francescano incappucciato con una grande barba e una voluminosa sacca sulle spalle. In mano tiene un gabbia con due canarini.

Fa un segno benedicente, si scappuccia, posa sacca e canarini su un sedile e si siede accanto all’uscita. Il donnone si sveglia, scorge la corda ancora penzolante, la strappa giù, ne chiede ragione all’uomo magro. Lui cerca di scusarsi Lei gli sbatte in faccia la corda, gli ingiunge si sedersi e si rimette a leggere la rivista.

L’uomo magro resta con la corda in mano. Il frate solleva  sacca e gabbia e le sistema proprio in bilico sulla testa della donnona,  e intanto spia nella rivista. Lo fa disturbandola, lei picchia il frate e anche l’uomo magro che si ripara con la corda.

L’uomo magro. per scusarsi per le busse del donnone, batte su una spalla del frate con la corda. Gliela offre: vuole mettersela ai fianchi? Il frate ringrazia, se l’annoda sopra il cordiglio, alza le braccia in una mossa civettuola: “Come mi sta?”

A questo punto il treno si muove. I tre finestrini scorrono in avanti lentamente lasciando il posto ad altri e subito dopo ad altri ancora, che sfarfallano sempre più veloci.

A treno finito resta davanti all’obbiettivo un cartello pubblicitario delle ferrovie con la scritta: Col treno sicuri e tranquilli.

Fine