Storie

Altre Storie – Telestorie
Coincidenze ovvero Momenti sincronici di felicità

Un uomo anziano e non vedente entra per errore in una stanza buia non sua, in un modesto albergo, ed è preso da inspiegabile agitazione, come se lo aspettasse una notizia inattesa.

Una giovane donna seduta nel buio, anch’ella non vedente ma dotata delle capacità straordinarie che hanno i videolesi di cogliere segni normalmente impercettibili, sente una presenza familiare:

“Sei tu, padre mio?”.

Il vecchio videoleso riconosce la voce della figlia, della quale aveva perso da anni le tracce, capisce il perché del proprio turbamento, è stupito, stenta a credere:

“Tu, figlia mia! Ma come? Sei proprio tu?”.

Nello stesso momento, nella camera accanto, una donna anziana e non vedente, seduta nel buio, sente a sua volta qualcuno entrare. Una fulminea intuizione le dice che una persona amata, che credeva perduta, è ricomparsa, e chiede ansiosamente:

“Sei tu, figlio mio?”.

Il giovane uomo, anch’esso non vedente, entrato lui pure per errore, anziché nella propria stanza, nella camera in cui siede la donna, trasalisce. Quelle poche parole gli danno conferma di un presentimento che lo ha colto nell’atto di entrare:

“Tu, mamma? Sì, sono proprio io, tuo figlio!”.

Nella casa di fronte, due testimoni oculari si sono frattanto affacciati, ignorandosi l’un l’altro, alle finestre attigue delle loro spoglie camere d’albergo, all’ultimo piano. Vedono, dall’altro lato dell’angusta via, due terrazze vuote, separate da un muro e illuminate dal sole. Non fanno caso alla porta chiusa che consente di accedere, da ciascuna terrazza, ad una delle due stanze buie in cui avvengono i commoventi incontri tra le due coppie di videolesi.

Nella stanza della giovane donna non vedente, l’anziano videoleso prorompe in pianto. Dopo una lunga, troppo lunga separazione, ha ritrovato la figlia. Vuole abbracciarla e, d’impulso, s’inoltra nella camera. Ma, tradito dall’emozione, non sa dirigersi al punto da cui ha udito giungere la carissima voce, e va verso la porta che immette nella terrazza vuota e assolata. La porta si apre ed egli si trova immerso nella luce, che percepisce sulla pelle come mutamento di temperatura. Stordito e disorientato, si arresta. Dietro di lui la porta, dotata di molla, si richiude.

Anche la giovane donna non vedente è corsa verso la voce del padre, ma i movimenti incontrollati del genitore l’hanno confusa. Vaga nella camera chiedendo:

“Padre mio, dove sei?”.

Il padre sente il richiamo giungergli di là dalla porta chiusa. Si riscuote e si volge, ma non riesce a ritrovare il passaggio e invoca:

“Figlia mia, dove sei?”.

Nell’altra camera buia dell’anziana donna non vedente, anche il giovane videoleso scoppia in pianto. Dopo tanti anni ha ritrovato la madre. Vuole correre verso di lei, ma commette lo stesso errore del non vedente nella stanza accanto e si precipita verso la porta in fondo, che si spalanca. Immerso nel calore della luce, s’arresta indeciso. La porta si richiude alle sue spalle.

La madre, che si è faticosamente sollevata per andare nel buio (nel doppio buio dei suoi poveri occhi e della stanza) verso la voce del figlio, muove qualche passo incerto. Poi invoca a sua volta:

“Figlio mio, dove sei?”.

Il figlio, che sta brancolando sulla terrazza luminosa, ode il richiamo della madre:

“Mamma! Mamma! Dove sei?”.

I due testimoni oculari, nella casa di fronte, scorgono il vecchio e il giovane irrompere contemporaneamente dalle due porte sulle terrazze e aggirarsi a tentoni. Capiscono che i due sono entrambi videolesi e, mossi da un’insolita curiosità, si protendono dalle loro finestre per poter osservare meglio la scena. Così facendo, essi avvertono con la coda dell’occhio la reciproca presenza. Girano la testa e si guardano. E con altrettanta immediatezza si riconoscono per fratelli gemelli omozigoti, separati in tempi lontani da dolorose vicissitudini.

Uno strano, gutturale grido è l’identica reazione di entrambi, mentre dai loro occhi sgorgano lacrime di improvvisa gioia.

Nella casa di rimpetto, i due non vedenti odono dalle rispettive terrazze il singolare grido concomitante dei gemelli e oscuramente intuiscono che in qualche luogo dinanzi a loro qualcun altro si sta ritrovando. Un moto misterioso, di cui solo più tardi comprenderanno il significato, ora li anima e li sospinge. Inesplicabilmente dimentichi degli incontri appena mancati – l’uno con la madre, l’altro con la figlia – si accostano ai parapetti, nel punto in cui il muro divisorio s’arresta, e un esiguo spazio di comunicazione si apre fra le terrazze. Sbarrando nel vuoto gli occhi senza luce, i due si lasciano sfuggire un sospiro. E ancora una volta le eccezionali facoltà quasi medianiche di percezione delle persone prive del dono della vista vengono a soccorrere la sfortuna e a compensare le avversità della vita. Quei brevi sospiri bastano ad entrambi per riconoscersi d’un tratto, senza la minima incertezza. Uniti in un solo empito, le loro braccia e le loro mani si cercano oltre il breve varco fra le terrazze, e riescono alfine a congiungersi:

“Sei tu, figlio mio!”.

“Sei tu, padre mio!”.

La duplice esclamazione, insieme di sorpresa e di giubilo, raggiunge le due non vedenti, che ancora vagano nelle loro stanze alla vana ricerca, l’una del padre, l’altra del figlio, appena ritrovati e subito riperduti. Se gli angosciati richiami precedenti dei due videolesi sulle terrazze avevano solo accresciuto la confusione delle infelici donne, ora le voci esultanti danno loro un fremito nuovo. Esse si slanciano anelando oltre le due porte, penetrano negli spiazzi illuminati dal sole, errano per poco incerte ma presto possono abbracciare rispettivamente figlio e padre, voltisi al dolce suono dei cari passi.

Mentre i videolesi si avvincono a due a due, palpitando e piangendo, il padre e il figlio possono rivelare con indicibile commozione, l’uno alla figlia, l’altro alla madre, che oltre il muro che separa le terrazze le attendono nuovi e miracolosi ritrovamenti.

A tale annuncio, che raddoppia in modo così inatteso una grande gioia, madre e figlia stanno quasi per venir meno. Ma si riprendono e le coppie, allacciate come sono, corrono ai parapetti. Ancora mani che si cercano e si stringono:

“Marito e figli miei!”.

“Moglie e figli miei!”.

“Padre, madre e fratello mio!”.

“Madre, padre e sorella mia!”.

Incredulità e felicità si confondono in un unico grido d’amore.

I due testimoni oculari, alle finestre di rimpetto, non odono la quadruplice festosa esclamazione. Nessun suono, nessuna voce può giungere ai loro orecchi e ai loro cuori, perché sono audiolesi, oltreché muti, dalla nascita. Ma hanno, a compenso, vista acutissima e alla loro particolare sensibilità visiva non sfuggono i movimenti delle labbra dei quattro videolesi né le espressioni e i tratti dei loro volti, là sulle terrazze. Possono così afferrare il motivo della loro euforia. E, per una sorta di inconscio impulso, i gemelli sono spinti a differire le effusioni per essersi appena ritrovati in una incredibile congiuntura, e a dirigere ancora i loro sguardi ai non vedenti, che si sporgono pericolosamente dai parapetti, anelando di toccarsi e avvincersi, incuranti del rischio di cadere nel vuoto.

I testimoni oculari non credono ai loro occhi: nelle fisionomie dei festanti ritrovano in un solo momento, con ulteriore e lieta stupefazione, sia i genitori, sia il fratello e la sorella:

“Ge…ni…to…ri!” articola faticosamente un gemello.

“Fra…tel…lo, so…rel…la!” balbetta con altrettanta fatica l’altro gemello. E poi, all’unisono:

“Sia…mo…noi!.. I…vo…stri…fi…gli…ge…mel…li! I…vo…stri…fra…tel…li! E fa…te at…ten…zio…ne a n…on cad…ere!”.

I quattro sulle terrazze ristanno a quei richiami e si volgono. Strane voci barbuglianti ma inconfondibili per cuori gonfi d’amore materno, paterno e fraterno. Non possono essere che loro, i gemelli identici e identicamente muti e audiolesi, perduti da tanto tempo, educati ad articolare suoni che non odono e ad interpretare sulle labbra il significato delle parole.

Sui visi trasfigurati delle due coppie di non vedenti si va disegnando una sempre più esterrefatta espressione di stupore, mentre le mani corrono ai petti, a fermare il tumulto dei sentimenti.

“Ma sono i nostri adorati gemelli!”.

E come sopraffatti dagli eventi, esclamano in coro:

“Tutti noi ritrovati nello stesso giorno, nella stessa ora! E’ mai possibile?”.

Le parole, le frasi spezzate dai singhiozzi, risuonano incredule nel breve spazio tra le case che si fronteggiano.

Ben presto allo sbigottimento subentra la gioia. I non vedenti tendono le braccia verso il punto da cui provengono le voci dei gemelli, unici vedenti della famiglia, i quali ricambiano con parole d’affetto, tanto più struggenti perché faticosamente costruite a forza di monosillabi. S’allungano tutti nel ristretto varco della viuzza, che quasi si toccano.

Seguono momenti indimenticabili. Confusa eccitazione, domande e risposte che si incrociano, gridate e balbettate tra le lacrime, invocazioni, baci, mani impazienti che cercando volti da accarezzare e da ricostruire nella memoria.

“O…ra ve…nia…mo da vo…i!” e i gemelli rientrano precipitosamente nelle loro camere.

L’educazione vocalista, così criticata dai paladini del linguaggio gestuale tra sordomuti, ha dato una volta tanto buoni frutti.

Ma le sorprese non sono finite. Mentre i due verbo-audiolesi, usciti nel corridoio, si serrano in un primo abbraccio, passa di lì un vecchio cameriere dell’albergo. Egli si arresta davanti a loro ed ha un moto di meraviglia:

“Voi, signori padroncini!”.

I gemelli non odono, ma si sentono sfiorare da mani tremanti, si volgono e ancora una volta non possono credere ai loro occhi: è il fedele domestico degli anni lontani, quando la famiglia era unita, ricca, felice!

Una nuova stretta commossa, ma poi subito via, senza indugio e senza spiegazioni, verso l’albergo all’altro lato della strada, trascinando il vecchio che non capisce dove lo stiano portando.

Eccoli nell’albergo. Salgono all’ultimo piano e mentre stanno correndo verso la stanza della madre si imbattono in un’anziana cameriera, intenta alle sue faccende. Ella getta un grido, solleva le braccia, ferma la loro corsa:

“Gemelli! Non mi riconoscete? Non leggete sulle mie labbra ciò che vi dico? Sono io, la vostra tata, quella che vi ha visto nascere, vi ha cibato del suo latte, vi ha insegnato a pronunciare le prime, incerte parolette!”

Ma la donna bruscamente s’interrompe, scruta il vecchio cameriere:

“Mio Dio!…Tu sei…” e la poveretta sviene.

La fida nutrice ha ritrovato non solo i bimbi allattati molti anni fa ed ora adulti, ma anche l’uomo amato in gioventù e mai dimenticato.

Nuova meraviglia, nuovi abbracci.

Pochi istanti dopo, nella camera della madre non vedente, luogo non più buio e triste ma inondato dalla luce delle finestre spalancate (allegoria eloquente di felicità!), una famiglia dispersa da anni torna, per strani e fortunati casi, a ricomporsi miracolosamente in tutti i suoi membri, compresa la servitù.

Mentre si incrociano esclamazioni di trepida esultanza e si affollano tante domande, la nutrice si scioglie a fatica dalle braccia del vecchio cameriere. Va al telefono e forma un lunghissimo numero.

“Pronto? Parlo con la clinica oculistica dell’Università? Vorrei parlare con il professor…, sì, con il primario. Sono sua madre.

Tutti ora tacciono nella stanza. Qualche attimo sospeso nell’attesa.

“Pronto? Sei tu figlio mio? Sai chi c’è qui vicino a me? Indovina…Tuo padre! Sì, proprio tuo padre, che ho rincontrato pochi minuti fa!.. Ti racconterò…, ti racconteremo…” singhiozza la tata.

Il vecchio cameriere, nell’udire quelle parole, trasecola. L’indimenticata compagna di gioventù, perduta soltanto per il capriccio d’una sorte avversa, gli aveva dunque dato un figlio! Resta così, attonito, vinto da troppa emozione.

“Oooh!” esclamano gli altri, non meno stupiti e commossi.

“Ma prima di passarti tuo padre, figlio mio,” prosegue la nutrice “voglio dirti che qui ti aspetta un grato compito da assolvere: quattro videolesi che devono assolutamente riacquistare la vista. Chi sono? Ma sono i miei antichi padroni, che ti hanno tenuto sulle ginocchia quando eri bambino, e i loro figli! Sì, esatto, ricordi benissimo, due figli purtroppo non vedenti come i genitori. Ma tu, che sai fare miracoli, con la tua scienza e la tua abilità, potrai forse ridare a queste care persone la luce degli occhi. Dici che i progressi della chirurgia oculistica possono far sperare bene? Perfetto! Mi chiedi degli altri due figli? Sono qui anch’essi! Esatto, ricordi perfettamente, ci vedono benissimo ma sono muti e audiolesi. Come? Conosci chi può tentare di ridargli l’udito? Buone probabilità? Fantastico! E adesso, figlio mio, ti passo tuo padre”.

Il vecchio cameriere prende con mano sempre più tremante il telefono e grida con voce rotta:

“Figlio mio!…Pronto!…Pronto!…Pronto?…Pronto?…

Il vegliardo guarda la compagna e gli altri con occhi smarriti. Protende verso di loro l’apparecchio come ad implorare aiuto:

“E’ caduta la linea…Il telefono è muto…”.