Storie

Altre Storie – Telestorie
Ridere/Piangere

Questa storia non può pretendere più di dieci minuti di attenzione, che possono essere un tempo lunghissimo. Un lungo sketch, dunque.

Il riso, del resto, anche sgangherato, e il pianto, anche singhiozzato, non occupano generalmente più del tempo di uno sketch.

Qui stiamo naturalmente parlando di riso e di pianto, non di gioia e dolore. La gioia dura pochissimo, è di per sé effimera, non occupa nemmeno il tempo di un brevissimo sketch. Il dolore, invece, può durare molto, anzi moltissimo, è tormentoso, sembra senza rimedio. E deve essere muto. Difatti “il canto che singhiozza è un canto di pace”, dicono i poeti, che la sanno lunga.

Il salotto è un salotto convenzionale nell’epoca della televisione: due poltrone e un divano disposti di fronte a un caminetto, che non c’è.

Il resto, gli altri mobili, le suppellettili, i quadri, non contano. Tutto può essere collocato come piace all’arredatore, compreso il tavolo da pranzo rotondo in un angolo, che deve avere almeno tre posti, rivolti verso la parete dove dovrebbe stare il caminetto, in modo che, pranzando, tre persone possano sempre guardare la televisione.

Ma in questo salotto la televisione non c’è. C’è solo la parete nuda del caminetto, senza caminetto, senza televisione, senza niente.

La stanza ha una finestra chiusa e una porta aperta su un corridoio buio. La porta va posta sul fondo, dov’è il resto della casa. La finestra si può sistemare a piacere, ma non sulla parete del non-caminetto, e avrà certamente le tendine.

Nella stanza si sente e si sentirà quasi sempre, attraverso la porta aperta e il corridoio, il rumore attutito, ma che poi diventerà forte, di una lavatrice in azione in cucina o in un bagno di servizio.

L’illuminazione è quella normale della sera in un salotto in cui la televisione non c’è. Non il semibuio, a tratti rischiarato dai bagliori azzurrini del video, ma una luce normalmente diffusa secondo i canoni dettati dagli illuminotecnici, per far sì che l’ambiente sia distensivo al massimo per le persone che vi siedono comodamente.

Le persone sono per il momento due: un uomo e una donna piuttosto anziani, seduti nelle due poltrone, ai lati del divano vuoto. L’uomo indossa un cardigan sbottonato sulla camicia senza cravatta, la donna ha un abito semplice da casa. Portano entrambi gli occhiali. Guardano fisso un punto davanti a loro sulla parete vuota, all’altezza normale di uno schermo televisivo. Ai loro piedi, segno di normale domesticazione, le pantofole. La donna può, eventualmente, sferrucchiare a maglia, ma allora alzando e abbassando alternativamente gli occhi dalla parete al lavoro.

A un tratto, e nello stesso momento, entrambi ridono sommessamente. Ilsorriso rimane fermo sulle loro labbra mentre continuano a fissare la parete.

Sulla porta compare silenziosamente dal buio una terza persona, che sulle prime sembra una bambina. Ma osservando meglio si vede che è una minuscola donna in cui si riconoscono i tratti di una domestica filippina. Di bassa, anzi bassissima statura, di corporatura minuta, il volto piatto e olivastro, gli occhi a mandorla. I bellissimi capelli corvini con la frangetta e riuniti dietro in una breve coda trattenuta da un nastro bianco, la tuta di felpa con sul petto la grande scritta “Berkeley University” e le scarpe da ginnastica, starebbero ad indicare che si tratta di una ragazza, quasi adolescente. Ma qualcosa, il grosso seno o le piccole rughe ai lati della bocca possono far sorgere dei dubbi. La sua età è, in effetti, indefinibile. Potrebbe anche essere una minuscola donna di quarant’anni.

La filippina prende senza far rumore una sedia che sta accanto alla porta e si siede. Guarda davanti a sé verso lo stesso punto a cui guardano la altre due persone.

Ecco, nello stesso momento, i tre scoppiano a ridere. I due sulle poltrone, i padroni di casa, liberamente e rumorosamente, la domestica filippina sommessamente, portandosi la mano alla bocca in atteggiamento di rispetto.

La lavatrice tace.

Nel silenzio, la filippina ha uno sbotto di riso subito soffocato. I padroni si voltano un attimo verso di lei, come a condividerne e a incoraggiarne benevolmente l’ilarità. Tornano poi a guardare davanti a sé, atteggiati al sorriso.

La lavatrice riprende il suo ciclo.

Mentre ridono ancora tutti e tre assieme, compare dal buio sulla porta una seconda donna. E’ molto alta e vestita con una certa eleganza. Guarda verso la parete e sorride. Assomiglia, in grande, alla prima donna, ma è molto più giovane. Sarà probabilmente la figlia.

La filippina la scorge e fa per alzarsi ma è trattenuta da una mano sulla spalla.

La nuova venuta va verso il divano continuando a guardare la parete e si arresta contro la spalliera. I due sulle poltrone ne avvertono la presenza. La prima donna si volta un attimo, fa un cenno e torna subito a guardare davanti a sé. L’uomo, seguitando anche lui a guardare la parete, le fa segno con un braccio e la mano tesa, per dire due cose: siedi sul divano e guarda anche tu senza interromperci.

La lavatrice si arresta.

I due sulle poltrone e la filippina risbottano simultaneamente a ridere. La seconda donna è colta dalla risata mentre è ancora in piedi, appoggiata alla spalliera del divano. Ride anche lei di gusto. Poi gira attorno al divano, sempre guardando la parete, e si siede dal lato più vicino all’uomo, accompagnando con le mani la gonna sotto le cosce.

L’uomo, senza voltarsi, allunga il braccio e la sua mano stringe quella della donna, che si protende verso di lui affettuosamente, anche lei senza voltarsi.

Risata all’unisono di tutti e quattro. Poi silenzio.

La lavatrice riparte.

Ancora una risata simultanea. La voce forte e profonda della seconda donna sovrasta le altre: il riso di testa della prima donna, quello tenorile dell’uomo, quella un po’ infantile della filippina.

Rumore della lavatrice nel silenzio.

Improvvisamente si sente un suono alto e acuto. Sulle prime non è chiaro da dove provenga, poi da un gesto della filippina, che si porta una mano alla bocca, si capisce che viene da lei. Un inizio di riso? No, la filippina scoppia a piangere, anzi a singhiozzare. Trae velocemente da una manica della felpa il fazzoletto e se lo porta al viso, mentre continua a guardare la parete.

Gli altri tre, che stavano ridendo, si volgono di scatto verso la piangente, ma subito tornano a guardare la parete.

Rumore della lavatrice contrappuntato ai singhiozzi della filippina.

I tre ridono ancora tutti assieme, ma le loro sono ora risate un po’ forzate, incerte. L’uomo si volge per un attimo verso la filippina che continua a piangere disperatamente. Poi torna a guardare la parete. Anche la prima donna si volta e scuote il capo come a dire: cosa ci sarà da piangere, non è il momento. Poi dà un rapido sguardo all’uomo e infine torna con gli occhi alla parete.

Rumore della lavatrice e singhiozzi della filippina.

La lavatrice si ferma. Qualche secondo lunghissimo. Si sente solo la filippina piangere piano. La lavatrice riparte.

Ora è l’uomo che scoppia a piangere. Si toglie gli occhiali e si copre gli occhi con una mano mentre scuote il capo, come sopraffatto dalla commozione.

Le due donne guardano l’uomo e si guardano, serie. Poi tornano, perplesse, a fissare la parete.

La prima donna si porta la mano alla bocca e comincia ad emettere, come poco fa la filippina, lo stesso suono continuo e acuto Si predispone a ridere o a piangere? Ma presto è chiaro: guarda la parete e singhiozza.

La seconda donna sembra resistere. Solleva una mano a pugno e la preme contro la bocca e il naso. Poi, sempre con gli occhi fissi alla parete, china un po’ il viso. Il pugno preme all’attaccatura delle sopracciglia. E’ come se volesse guardare e non guardare. Si volge un attimo con fare incerto verso la prima donna e la filippina, forse per esprimere la sua solidarietà, o forse per vedere se séguitano a piangere. Poi torna a guardare la parete, e presto non si trattiene più: prorompe in un pianto dirotto.

E’ un coro di singhiozzi nelle varie tonalità.

Ma ora la filippina arresta il suo pianto. Ristà un momento, la mano che preme il fazzoletto sulla bocca, a guardare la parete, mentre gli altri continuano a singhiozzare.

E la filippina sbotta in una gran risata a gola piena, mentre agita davanti a sé la mano e il fazzoletto. Ma subito si ricompone e, coprendosi la bocca, volge lo sguardo ai tre piangenti.

Questi, alla risata clamorosa della filippina, hanno smesso bruscamente di singhiozzare e, dopo esser rimasti un momento muti, con gli occhi alla parete, si volgono lentamente a guardare la minuscola donna. C’è nelle loro facce sorpresa e sconcerto.

La lavatrice continua a lavare.

La filippina guarda i tre che la guardano seri e scoppia in una nuova risata che la fa piegare su se stessa. Risata che dura a lungo, reiterata ogni volta che, alzando il viso, scorge le loro facce ammutolite, stupite, perplesse.

Perché ride, sembrano chiedersi i tre. L’uomo guarda interrogativamente le due donne, la prima atteggia la bocca come a dire bah, la seconda alza le spalle, guarda la parete, sferruzza nervosamente. alza ancora di più le spalle. Anche l’uomo alza le spalle e scuote la testa. Non capisce.

Intanto la filippina continua a ridere.

Ora, però, anche la prima donna, che ha ripreso a guardare la parete, scoppia in una risata.

L’uomo e la seconda donna, stupiti, si volgono a guardarla. La prima donna distrae gli occhi dalla parete per un attimo per ricambiare lo sguardo, e riprende a ridere. Sempre ridendo, piegandosi su di sé, lancia loro delle occhiate additando alla parete, e ogni volta ride di più. La perplessità dei due sembra anzi alimentare, come prima è accaduto alla filippina, il motivo del riso. La filippina, difatti, unisce la sua acuta risata a quella della prima donna. Le due si guardano e ridono, solidali, sempre più forte. L’uomo e la seconda donna volgono muti lo sguardo all’una e all’altra, ormai sghignazzanti senza ritegno.

Lentamente, le due donne ridenti si acquietano. La filippina nasconde la faccia tra le mani, la prima donna si toglie gli occhiali e si asciuga le lacrime, tra qualche ultimo sbotto di riso.

Tutti tornano a guardare in silenzio la parete.

La lavatrice prosegue un po’, poi si arresta.

L’uomo prende a scuotere le spalle. Piange? No, dalla sua bocca prorompe una risata. Lo seguono subito, nell’ordine, la prima donna, la seconda e la filippina. Risate in crescendo, come alimentate da una situazione comica irresistibile, che accavalla onda su onda spunti di riso che si succedono senza tregua.

Al suono delle risate si aggiunge il rumore, violento e fortissimo, della lavatrice che affronta la fase della centrifugazione.

Tutti sembrano ridere, ma non è così. Emerge tra le risate una nota lamentosa, che ben presto si fa dominante: la filippina piange.

Gli altri tre, le facce ancora atteggiate al riso, si volgono verso di lei come a voler chiedere: cosa c’è, ora, da piangere.

Ma la filippina stavolta non soffoca il pianto. Scuote la testa chinata e continua a singhiozzare.

I tre tornano a guardare la parete. Non ridono più.

Al pianto della filippina si sovrappone il rumore della lavatrice che prosegue la centrifugazione.

Anche l’uomo si porta la mano agli occhi e comincia a piangere. La prima e la seconda donna lo seguono.

Pianto generale. Gara a chi piange più forte.

Ma tra le lamentazioni si fa strada ben presto il suono chiaro e argentino di una risata: è la filippina.

I tre si voltano nuovamente a guardarla, disorientati. E ancora, muti e incerti, si scambiano rapide occhiate. Ma poi subito prendono a ridere, dapprima in modo sommesso, poi disteso. Ha ragione la filippina, questo è il momento della risata.

A un tratto, tutti tacciono. Anche la lavatrice, finito il suo ciclo, tace.

La filippina riprende a piangere a dirotto. I tre si girano, ancora una volta, a guardarla.