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Altre Storie – Storie per quattro
Storia del coso

Stasera, comincia l’ingegnere, vi racconterò la storia, assolutamente autentica, giuro, del mio amico…diciamo il mio amico Arturo, tanto per fare un nome. Il quale, cercando un lavoro, produsse… (si ferma e guarda i tre ascoltatori, soprattutto Luigi) … produsse un coso lungo così.

Segna con le mani la lunghezza d’una cinquantina di centimetri, ma poi, valutando meglio la distanza, la riduce a circa quaranta.

E guarda ancora Gigetto.

Il quale chiede: Cosa produsse?

Uno stronzo lungo così. O vuoi che lo definisca più tecnicamente un escreto, o un deietto? O preferisci che mi rifaccia al Vangelo greco? O, meglio ancora, a un maestro di scatologia come il Panurgo di Rabelais, che lo chiamava scybalo? Scegli tu.

Le parolacce, tanto più se le pronuncia una persona matura, che pensa di essere ancora uno studente, un goliardo, Luigi non le sopporta. Le parole hanno un’anima, sostiene, ma è fiato sprecato. Però con loro, con gli amici del “quartetto delle storie”, più vecchi di lui, per non fare il guastafeste, sia pure di malavoglia, Luigi sta al gioco.

Per me va bene un coso, dice. Anzi, pensiamolo con la ‘c’ maiuscola: un Coso.

L’avvocato Eugenio e Giorgio il professore ridono ed esclamano, un po’ sorpresi: bravo!

Vincenzo, l’ingegnere, che spaccia sempre vicende paradossali di lavoro e d’ufficio, può cominciare.

Il mio amico Arturo, racconta, è molto più giovane di me. E’ un ragazzo molto preparato. Massimo di voti al Politecnico, un anno di stage in America, master alla Business School di Harvard. Insomma uno bravo. Arturo legge l’annuncio di un’importante holding industriale, che si definisce ‘leader mondiale nel proprio settore, con attività diversificate’ e via discorrendo. Sapete come sono quegli annunci dei cacciatori di teste: ‘La ricerca è rivolta a un ingegnere da inserire nel business development di un prodotto innovativo’… eccetera eccetera. Insomma, cercavano un giovane vispo per promuovere il service impiantistico nel settore dell’energia.

Il service cosa?, domanda Gigetto.

E io non te lo dico perché tanto non capiresti. Per la storia, non serve a niente saperlo. Pensa a un lavoro importante nel marketing dell’ingegneria impiantistica. Dunque, Arturo manda il suo curriculum e viene invitato a presentarsi per un colloquio. Sede prestigiosa, uffici super, moquette dappertutto, reception con bella ragazza efficientissima, aria discreta e ricca, da grandi affari.

Si è vestito serio, con la cravatta sobria e le scarpe nere. Ha portato la ventiquattrore di pelle con dentro la copia del curriculum e i diplomi. Poteva anche metterseli in tasca, ma nella valigetta è più professionale.

Stanno colloquiando con un altro dietro una porta chiusa. Arturo intuisce che sono solo in due a contendersi il posto. Quindi, cinquanta per cento di probabilità. E’ già qualcosa. Intanto la hostess lo prega di accomodarsi in un salottino e gli chiede se vuole un caffè.

No, grazie, risponde. Ha altro per la testa. La sua attenzione è protesa a cogliere il minimo rumore oltre la porta del colloquio. Gli pare di sentire uno scoppio di risa. Ahi, se ridono vuol dire che quello gli sta simpatico. Qui si mette male. E Arturo comincia ad avvertire un prèmito in fondo alla schiena. Oddio, pensa, non mi scapperà proprio adesso?

Dopo un po’ la porta si apre ed esce uno dall’aria così sciolta che non può essere l’esaminato.

Lei è l’altro candidato?, domanda ad Arturo. Abbia pazienza. Ne avremo ancora per un quarto d’ora.

Allora ho tempo per andare un momento alla toilette?

Certo, ci sto andando anch’io. Le faccio strada.

Arturo entra in un vero e proprio bagno, lussuosissimo, con uno specchio lungo tutta la parete. Depone la ventiquattrore sul pavimento di marmo, si abbassa calzoni e mutande, si siede sulla tazza, e aspetta. Gli scappa proprio tanto, ma ha paura di fare rumori sconvenienti che si sentano da fuori. Così si limita a una cauta pisciatina, in attesa che l’esaminatore, nel cesso accanto, abbia risolto il suo problema. Arturo si guarda allo specchio: si vede lì, raccolto sulla tazza, come in preghiera.

Sente finalmente l’altro che se ne va e può cominciare a liberarsi. Prima di tutto una grande scoreggia… (Eugenio e Giorgio ridono, l’ingegnere guarda interrogativamente Luigi, che scuote la testa, ma poi gli fa cenno di andare avanti). Una scoreggia enorme. Da spaventarsi. Di quelle che un tempo risuonavano all’intorno per nove leghe e ammorbavano interi villaggi.

Di là avranno sentito?, si domanda Arturo. Tende l’orecchio, poi, rassicurato, si appresta al grosso del lavoro.

Ma non è una cosa semplice. Di solito, come immagino sappiate bene, la scoreggia è la trombettiera d’avanguardia, che precede lo squadrone. Prepara il prorompere delle forze d’attacco, apre il varco. Stavolta, invece, non è seguita da un’evacuazione immediata. Arturo sente improvvisamente come un tappo. C’è il prèmito, ma c’è anche un impedimento. Come se l’orifizio si rifiutasse. Non si apre più. Il cervello comanda, i muscoli premono, ma non succede niente. Sarà l’emozione, pensa. Eppure la sotto…

…nell’ampolla rettale, precisa il professore.

Esatto, l’ampolla rettale è lì che brucia. Piena da scoppiare.

Arturo prende fiato e ritenta. Niente. Ritenta di nuovo, con forza. Niente. La fronte gli si imperla di sudore. Guarda l’orologio e si sente invadere dall’angoscia.

Calma. Ci vuole la massima concentrazione e determinazione. Arturo si toglie la giacca e l’appoggia alla vasca. Si risiede ma poi decide di levarsi anche la cravatta e la camicia. A torso nudo si sente più libero. Si raccoglie con i pugni chiusi e le mascelle strette. Contrae i muscoli addominali e il diaframma. E preme.

Ma ha un bel premere. Non succede niente. Niente di niente. E l’angoscia aumenta.

In casi del genere bisogna liberarsi di tutto. Denudarsi, tornare alla natura. Arturo si sfila le scarpe, le calze i calzoni le mutande l’orologio, butta tutto sul pavimento. Ricomincia a premere.

Premi e premi, pare che qualcosa stia succedendo, là sotto. Ma non è chiaro. Bisogna fermarsi e respirare, ma senza rilassarsi completamente. In modo che quel minimo che è lì lì per affacciarsi non rientri, resti dov’è. E da quel punto sia possibile ricominciare a spingere, a so-spin-gere sempre più forte.

Arturo monta addirittura sulla tazza con i piedi per fare più sforzo, si rannicchia come fosse su un cesso alla turca o in aperta campagna.

L’ingegnere si ferma e ha un mezzo sorriso. Ve lo immaginate, lì sul cesso? Io lo vedo come le partorienti d’una volta, con le braccia incrociate sul petto, che si stringevano al cuore la Vita di Santa Margherita d’Antiochia, e si raccomandavano a tutti i santi: vi prego vi prego fatelo scendere!

Gli altri sorridono, anche Luigi (ma poco). Vogliono tutti sapere come va a finire.

Beh, riprende l’ingegnere, Arturo punta disperatamente e sente che un primo piccolo passo è fatto. Ora tutto sta nel non mollare. Respirare, tenere botta, spingere ancora. Dai, dai serrare digrignando i denti, le tempie pulsano, dai, presto, dev’essere proprio un Coso grossissimo, un buco nero che sta per collassate, dai! Presto! Arturo trema nello sforzo, gli pare di svenire, si concentra ruggendo sullo sfintere, diventa il proprio sfintere, dai dai, eccolo che va! … No… Non ancora… Sì… Eccolo… Questa è la fine del mondo, l’attimo magico, l’orgasmo rettale… Aaah!… Aaaah!… – Aah?

Il professore e l’avvocato (e quasi quasi anche Gigetto), che stavano per applaudire ad Arturo – o meglio all’ingegnere, che sa sempre immedesimarsi così bene nel personaggio –, restano con le mani in aria, perplessi. Perche quell’aah interrogativo?

L’ingegnere alza le braccia e fa una pausa drammatica.

Sta accadendo un fenomeno strano. Il Coso scende, scende, ma sembra non finire mai, una lunghezza eterna, un trànsito interminabile, inarrestabile, da spaventarsi.

Comunque sia, alla fine, tutto passa. Anche stavolta è fatta. Santa Margherita ti ringrazio!

Bravo! Ora il professore e l’avvocato finalmente applaudono e levano il bicchiere in un brindisi. Anche Luigi ride e brinda.

Ma l’ingegnere li ferma ancora: Arturo non fa in tempo a sospirare di sollievo, che sente un rumore nella tazza, come se ci fosse caduto dentro un bastone. Si solleva e si gira a guardare. E resta di sasso.

A questo punto l’ingegnere, da narratore scaltro, fa un’altra pausa, e beve un altro sorso.

Il water, riprende poi, è di quelli col sifone tradizionale. Non è del tipo con la coppa piena d’acqua, che ammortizza le cadute e neutralizza gli odori.

Quelli si chiamano water “a feci visibili”, precisa il professore. E’ stata una moda passeggera. Ora li usano solo gli ospedali. Tranne in Germania, dove vanno ancora. Forse ai tedeschi piace controllare.

Non sapevo che fossi un esperto di nomenclatura stercoraria, commenta l’avvocato.

Sì, però quei water lì, inteloquisce Luigi, non sono tanto comodi, ti innaffiano il sedere con gli spruzzi, sono decisamente meglio quelli tradizionali. Anche nel mio bagno nuovo non ho avuto dubbi. Fra parentesi, il tipo solito è anche più economico e più…

Lasciami finire, lo ferma l’ingegnere, io volevo dire che il tipo con la coppa piena d’acqua serve anche ad ammorbidire i Cosi troppo duri. Invece nel water di quegli uffici il Coso di Arturo stava dentro nell’acqua solo per quattro-cinque dita. Il resto era fuori, sporgeva addirittura un po’ dall’asse. Leggermente arcuato ma duro come un bastone. Impressionante.

Un vero bâton merdeux, commenta l’avvocato, che ama i giochi di parole.

Gigetto non sa il francese, domanda chiarimenti.

Lo scopetto, hai presente la scopettina dentro quel recipientino che c’è sempre dietro il water nei cessi?, spiega Eugenio. I francesi lo chiamano “balayette”, ma molti preferiscono il vecchio nome glorioso di bâton merdeux, bastone merdoso. Che tra l’altro è un’ingiuria bellissima. Hai capito il gioco di parole? O non sarai anche tu uno di quei bastoni?

Posso continuare?, chiede l’ingegnere. Dunque, Arturo si riprende dallo stupore e fa il gesto più ovvio: aziona lo sciacquone per eliminare il Coso. Hai voglia. Fa scorrere l’acqua una, due, tre volte, ma il Coso è sempre lì.

E il vero bâton merdeux?, chiede il professore.

Sto per dirvelo: lo scopetto non c’è. Guarda di qua, guarda di là, Arturo non lo trova. Non si sa perché, ma nei cessi di prestigio lo scopetto non c’è mai. Oggetto evidentemente troppo volgare. Ma qualche volta prezioso. Indispensabile in questo caso, per rompere il Coso in pezzi e consentirne il passaggio nelle curve del sifone che, come si sa, hanno un raggio piuttosto stretto.

Arturo è colto dal panico. Non può lasciare quel mostro nella tazza. Teme che ne capiscano la provenienza. Come lasciare le impronte digitali. Occorre fare qualcosa. Si fascia le mani con metri di carta igienica e, resistendo allo schifo, tenta di spezzare il Coso. Sforzi inutili. Titanio puro.

Scusa, ma questo Arturo, di solito, come andava di corpo?, chiede Luigi.

Non lo so e non lo voglio sapere, risponde l’ingegnere. So solo che quella volta è stato per lui un evento eccezionale, non gli era mai successo. Perché un Coso così lungo e duro? Si potrebbe fare qualche ipotesi.

Io ne ho una, interviene il professore. Come medico posso dirvi che per me la causa è chiaramente psicoemotiva. E ha interessato l’intestino attraverso quelle vie efferenti che dalla corteccia cerebrale, e probabilmente dal talamo, arrivano al bulbo.

Scusa, ma non capisco, dice Luigi.

Ma sì, era la strizza per il colloquio, spiega Giorgio. Pura strizza! Arriverei a dire che Arturo stava vivendo un momento psicologico di rifiuto. Forse si opponeva inconsciamente al colloquio (al quale peraltro, immagino, credeva di tenere moltissimo), e delegava il rifiuto al proprio intestino. C’è tutta una letteratura in proposito. Insomma: lo sfintere anale si faceva portavoce di quel rifiuto.

Direi che l’ipotesi è corretta, commenta l’ingegnere. Nelle viscere del mio amico si sarà verificata una serie di contrazioni mostruose, con una riduzione pazzesca del lume. Aggiungete che in quei giorni Arturo era lontano da casa e mangiava probabilmente solo panini e prosciutto. E senza birra, per risparmiare.

Un classico per la stipsi, conferma il professore.

Dal punto di vista fisico-meccanico, prosegue l’ingegnere, direi che la superficie di contorno della materia fecale deve aver subito un incremento esponenziale di pressione. Considerando il volume V delle feci e supponendo di provocare un incremento di pressione delta p costante su tutti i punti…

Non cominciare con le tue formule, per favore, lo ferma l’avvocato.

Okkey, è l’abitudine, si scusa l’ingegnere, che essendo della vecchia scuola stava quasi tirando fuori il regolo. Diciamo allora che la sostanza escrementizia può essere stata sottoposta ad una pressione radiale molto forte. Qualcosa di simile, se vogliamo, al processo di sinterizzazione delle polveri. Una tecnologia con la quale si ottengono dei materiali incredibilmente compatti e resistenti. Altra ipotesi potrebbe essere il blocco del sistema di estrusione.

Estrusione? Che cos’è?, chiede Gigetto.

Hai presente il dentifricio che esce da tubetto? Quello è un esempio di estrusione. I tubi e gli spaghetti si estrudono. E anche gli stronzi, pardon, i Cosi.

Luigi fa segno di procedere.

Pensa ad una massa plastica premuta in un cilindro. Dove fuoriesce?

Già, dove fuoriesce?

Ma è semplice! Nel punto di minore resistenza. Dove c’è un foro, dove è stata sistemata una matrice che dà la forma. Nel nostro caso questo punto è ovviamente lo sfintere anale, da cui escono prodotti di forma cilindrica. Metti che fosse in atto nel nostro Arturo un fenomeno di stipsi complicato dal rifiuto di apertura dello sfintere: ecco che le feci avevano subito un processo abnorme di compattamento. Tra l’altro, la pressione sviluppa calore, e anche questo può aver contribuito…

Santi del Paradiso, abbiamo capito quel che è successo. Vogliamo andare avanti con la storia?, protesta l’avvocato.

Scusatemi. Dunque, eravamo arrivati al punto in cui Arturo è lì nel bagno nudo come un verme che tenta invano di far sparire il Coso. A un tratto sente bussare discretamente alla porta. E’ la hostess: lo stanno aspettando. Arturo farfuglia un ‘subito’ e si riveste furiosamente. Che fare col Coso? Nella disperazione ha un’idea. Sfila mezzo rotolo di carta igienica, estrae il Coso dalla tazza manipolandolo come fosse radioattivo, lo avvolge ben bene e lo deposita…nella ventiquattrore. Che è di quelle che possono contenere solo fogli di formato A4, o poco più. Piccola per un Coso di quaranta centimetri. Deve quindi infilarlo dentro in diagonale, sopra il curriculum. Richiude e si precipita di là.

Va al colloquio con il Coso nella borsa?

Ma sì, cos’altro gli restava da fare?

Santo Cielo. E poi?

E poi niente. La storia finisce qui.

Ma nessuno…

Vuoi dire se nessuno si è accorto che aveva un Coso nella borsa? No, nessuno se n’è accorto. Tutto regolare. Però c’è stato un momento… All’ingegnere viene da ridere.

C’è stato un momento?

Un esaminatore si accorge che gli manca il secondo foglio del curriculum e chiede: lei per caso ne ha portato una copia?

Certo, dice Arturo, che nell’emozione si è scordato del Coso. Apre la borsa e…

E…?

Quasi gli viene un colpo. Richiude di scatto e dice: scusi, l’ho dimenticato.

Ma è stato poi assunto?

No, hanno preso l’altro. Che era evidentemente più rilassato (l’ingegnere guarda Gigetto) e non aveva uno stronzo nella ventiquattrore.

Tutti ridono, persino Luigi.

Storia istruttiva, commenta il professore.

Storia un po’ triste, dice Luigi.

Ma questo Arturo, poi, com’è finito?, chiede l’avvocato.

Evidentemente l’avventura lo ha segnato, conclude l’ingegnere. E’ entrato in un’impresa specializzata nello smaltimento dei rifiuti. Soprattutto liquami. Hanno un sacco di brevetti. Ora è amministratore delegato. Destino di una vita.