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Altre Storie – Per esempio
Una goccia

La pioggia caduta tutta la notte è cessata all’alba. Dalla porta finestra che dà sulla terrazza si vede spuntare il sole. Le gocce colate sotto il corrimano di una ringhiera brillano in fila contro il cielo azzurro.

Suona la sveglia sul comodino accanto al libro del Buddha e l’uomo si alza. Si prepara il caffè in cucina. Si accosta alla porta finestra con la tazzina tra le dita e guarda fuori. La terrazza è ora invasa dal sole e si sta asciugando. Poche gocce di pioggia restano ancora sotto il corrimano. La prima della fila è la più grossa, resisterà di più.

L’uomo entra nel bagno, si fa la barba, si lava, va in camera, si veste, prende la borsa, si avvia all’uscita, ma si ferma. Torna alla porta finestra e scruta la ringhiera. La goccia grossa c’è ancora. E’ l’ultima rimasta.

Dietro i vetri l’uomo riflette. Il suo orologio segna le otto e mezzo. Estrae dalla borsa l’agenda, controlla gli appuntamenti di lavoro. Il primo è alle undici e mezzo. Ripone l’agenda nella borsa.

Rientra nel bagno. Schiude un armadietto, fruga tra le boccette. Ne sceglie una vuota che ha sul coperchio la peretta di gomma del contagocce.

Torna alla porta finestra, apre, si accosta al corrimano. Svita il contagocce e avvicina delicatamente il beccuccio di vetro alla goccia. La mano trema un po’, il tremito si trasmette alla goccia, che rischia di cadere. Ma non cade e il contagocce l’aspira.

L’uomo se ne accerta controluce, poi lo riavvita alla boccetta, rientra, chiude la porta finestra, riprende la borsa, vi introduce con attenzione il flaconcino, si dirige all’uscita, esce. Ma subito rientra, va veloce in camera da letto, prende dal comodino il libro del Buddha e lo infila nella borsa mentre si affretta ad uscire definitivamente.

Dalla porta finestra si vedono la terrazza e la ringhiera ormai asciutte.

L’uomo è sul pianerottolo e chiama l’ascensore. Quando la porta si apre, entra e preme il bottone dell’autorimessa. La cabina scende, si arresta al piano, l’uomo raggiunge la sua automobile, vi sale, accende il motore, si avvia alla rampa d’uscita. L’auto si immette nel traffico intenso delle vetture.

Al bivio per il centro della città ha un attimo di incertezza. Arresta la macchina, guarda ancora l’orologio. Dietro, i clacson reclamano. Dà una brusca sterzata e prende l’altra direzione. L’uomo stamattina non va al lavoro. I cartelli stradali indicano che sta andando verso il mare.

Traffico intenso anche qui. Auto, moto, furgoni, autocarri procedono in colonna su più file. L’uomo cerca di inserirsi nella fila di volta in volta più veloce, con sorpassi pericolosi. Un grosso autotreno non si lascia superare. L’uomo tenta ugualmente ma il muso del camion urta con violenza l’automobile e la trascina per molti metri, fra stridori di pneumatici e rumori di ferraglia.

Il camionista scende imprecando. La macchina è distrutta, parte della carrozzeria è letteralmente avvolta attorno al frontale dell’autotreno. Da una portiera spalancata si scorge l’uomo riverso sul sedile, il volto insanguinato. Le spiegazioni urlate dal camionista si confondono con le esclamazioni di altri accorsi. Il traffico è completamente bloccato.

Nell’autoambulanza che corre verso l’ospedale l’uomo riemerge dallo svenimento. Un infermiere gli presta le prime cure. Non sembra una cosa grave. Una ferita sulla fronte con molto sangue ma superficiale. La borsa è lì accanto, recuperata.

E’ il giorno dopo. L’uomo giace a occhi aperti in un letto dell’ospedale. Ha sulla fronte un cerotto. Sul comodino è appoggiata la borsa. Un medico in piedi accanto al letto esamina le radiografie del cranio. Tutto a posto, né fratture né altro. Sono passate ventiquattr’ore e la commozione cerebrale non c’è stata. Quanto all’amnesia, sarà passeggera. Succede con gli incidenti.

L’uomo esce dall’ospedale con la borsa in mano. Socchiude gli occhi abbacinati dalla luce intensa di una bella mattina assolata. Cammina a caso, raggiunge una via densa di traffico, è la strada che porta al mare. Sta lì sul marciapiedi, incerto. A un tratto fa segno ad un’auto, che si arresta. La guida una giovane donna bruna e abbronzata. L’uomo chiede un passaggio. La ragazza si protende ad aprire la portiera di destra. L’uomo sale.

La guidatrice è vestita da spiaggia, un pareo che le lascia le spalle nude, un cappello di paglia, gli occhiali da sole. L’uomo spiega di essere appena uscito dall’ospedale, ha avuto il giorno prima un incidente ma ne ha perso la memoria. Sa solo, dalla patente, chi è e dove abita. Insistevano per riportarlo a casa con l’ambulanza, ma ha rifiutato. Non rammenta perché fosse in quel posto, né dove fosse diretto. Sta cercando di ricordare. Forse doveva raggiungere il mare, chissà. Proviamo in quella direzione.

Il traffico rallenta, si ferma. Sembra un incidente. No, si riparte. Stanno solo portando via la carcassa di un veicolo sfasciato, che era stato provvisoriamente spinto sul bordo dell’asfalto per liberare la carreggiata. È la sua auto? Passandole accanto, l’uomo si volge a guardarla. Se è quel rottame, è fortunato d’essersela cavata con poco. Si tocca la fronte incerottata.

Ora sono arrivati al mare. Calmo, luccicante nella mattinata serena. Spira una leggera brezza. Raggiungono a piedi la spiaggia deserta, lui con la sua borsa da ufficio, lei con il cappello di paglia in una mano e nell’altra una sacca. La ragazza posa sacca e cappello, scioglie il pareo. E’ bellissima nel due pezzi. Spiega un asciugamano variopinto e vi si stende a pancia in giù.

L’uomo la osserva trasognato. Si riscuote, si gira attorno un po’ smarrito. Non sa che fare. E’ vestito da città, non può spogliarsi. Si siede. Apre la borsa, tira fuori lettere e carte. Non gli dicono niente. La brezza le solleva, le trascina via. Non si cura di raccoglierle. Ecco l’agenda. La scorre, la butta sulla sabbia davanti alla donna. Ora il libro del Buddha. Lo sfoglia, lo depone sopra l’agenda. Cerca ancora nella borsa. Sul fondo c’è la boccetta. La contempla. Ora ricorda tutto.

L’uomo tiene alta la bottiglina. Ne traguarda controluce il contagocce, la posa con cura  sulla borsa. Si sfila scarpe e calze, si rimbocca i calzoni. La ragazza dal suo asciugamano ne segue i movimenti dietro gli occhiali neri.

L’uomo riprende la boccetta. Si avvia verso la riva, si immerge cauto nell’acqua bassa, il poco che basta a non bagnarsi i calzoni. Si ferma, svita delicatamente il contagocce, sporge il braccio, preme la pompetta. Esce una minuscola bolla, seguita da un’altra e da quel che resta della goccia. La stilla fatica a staccarsi dal beccuccio, ma alfine si libera, attraversa l’aria fluttuando, scompare nella schiuma di una piccola onda.

La ragazza si è tolta gli occhiali per seguire meglio i gesti dell’uomo, al di sopra del libro del Buddha posato davanti a lei, che un po’ le ostacola la visuale. Allunga una mano per spostarlo, ma vede il titolo in copertina. Un nastro di seta segna una pagina. Apre il libro a quella pagina. Legge le parole:

Fu chiesto al Buddha: “Come impedire a una goccia d’acqua d’’asciugarsi?”
Rispose l’Illuminato: “Lasciandola cadere nel mare.”

La ragazza abbassa il libro. L’uomo sta tornando verso di lei.