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Nicchie

Sono sempre stato bravissimo (o molto fortunato), a costruirmi (o a trovare già predisposte), delle nicchie in cui nascondermi e tirare avanti. Può darsi che questo io l’abbia sempre saputo senza esserne consapevole, ma stanotte finalmente me ne sto rendendo conto e qui lo scrivo.

Inutile fare un elenco delle mie nicchie, che sarebbe lunghissimo, almeno quanto la mia vita. Inutile anche cercar di capire se questo mio modo di affrontare l’esistenza sia stato e sia furbo o sciocco, non essendo frutto di una mia scelta, se non (credo o mi illudo di credere), in minima o trascurabile parte.

Mi chiedo come abbiano potuto convivere in me la tendenza a rintanarmi e certe mie idee non convenzionali, sicuramente ricevute in parte o in tutto in eredità dai miei o per via genetica o (più verosimilmente), per esempi via via fornitimi.

Le idee sono poi le solite che si usa definire in politica “progressiste” o “liberal” o più limitatamente “umanitarie”, per non dire “socialiste”, aggettivo ormai scontato e convenzionale. E nel campo letterario e dell’arte, idee “moderniste”, in procinto, credo, di essere superate e di recedere alla retroguardia.

Bene, tra queste mie idee e l’istinto di sopravvivenza (per dire il termine esatto), che mi porta a imbucarmi, quest’ultimo – vero protagonista della storia – ha finito sempre per avere la meglio. Eppure nei miei rapporti con gli altri ho sempre scelto (ma sarà la parola giusta?) e continuo a scegliere persone grosso modo con le mie stesse idee. E questo è stato e resta un bel problema, perché tali persone tendono sempre a trarmi fuori del mio guscio protettivo, sospingendomi ad “agire”.

Io per un po’ ci sto, magari condivido il loro entusiasmo, ma alla fine riesco in qualche modo a defilarmi e a mettermi al sicuro. Cosa che, invecchiando, mi diventa più facile, perché i pretesti che accampo sono più credibili.

Che faccio nella mia nicchia-guscio? Varie cose che mi impegnano tutta la giornata. Da tempo la sera, prima di addormentarmi, mi annoto su un foglietto un elenco di quello che devo o voglio fare l’indomani, e questo mi concilia il sonno. Leggere, disegnare, scrivere qualcosa o qualche lettera (pochissime), riordinare vecchie carte di famiglia da lasciare con opportune didascalie ai miei discendenti, oltre a trafficare in casa, acquistare cibi, fare passeggiate (sempre meno, sono pigro). Cose del genere. E ascoltare la radio, quando non mi distrae da ciò che sto facendo, e all’ora di pranzo e cena guardare alla televisione un telegiornale “sicuro”. E poi qualche film, qualche dibattito, parecchi serial polizieschi. Non leggo più da tempo i giornali, solo il supplemento culturale del 24 ore.

Vita quindi attiva ma abbastanza monotona, interrotta il mercoledì da un rapido viaggio in treno a Milano e Garlasco a trovare figli, nipotine e il sempre vivacissimo amico Eugenio (salvo quando fa troppo caldo); da puntate a Genova (pochissimo), a Rapallo per incontri con gli amici Massimo e Angela, suo fratello Andrea e la moglie Patrizia, e a Santa Margherita quando Alessandra viene in riviera. Qualche volta Massimo mi coinvolge nelle sue svariate iniziative. Toccate e fughe.

Mi ricordo che Leopardi diceva qualcosa sulla vita monotona, che conviene per ragioni diverse sia ai coglioni sia a chi ha una marcia in più. Ai secondi perché hanno una ricca vita interiore, ai primi perché non hanno bisogno di nessuna vita. Anche l’inattività va bene agli uni e agli altri per gli stessi motivi; io invece sono abbastanza attivo, riempio le mie giornate di faccende e di qualche pensiero, sarò un po’ coglione e un po’ no.

A questo punto mi viene in mente un altro ricordo letterario, che non guasta: un racconto di Kafka. Notissimo, è tra i “postumi”, mai pubblicati in vita dal Franz, genio della metafora. E’ addirittura l’ultimo, nel mio libro che li raccoglie tutti. Si intitola La tana.

Vado subito a rileggerlo, e vi trovo con sorpresa sottolineate da me certe frasi e mi dico: ma allora sapevo già tutto della mia nicchia (difatti nel quinto paragrafo che ho scritto qui vedo che ho usato proprio la parola “rintanarmi”) …

Ecco alcune delle frasi sottolineate:

Ma non mi conosce chi crede che io sia un vigliacco e che costruisca la mia tana solo per vigliaccheria.

E’ bello avere per la vecchiaia che si avvicina una tana siffatta, rifugiarsi sotto un tetto quando comincia l’autunno.

Lì dormo il dolce sonno della pace, dei desideri pacificati…

E quale è se non questo il senso delle belle ore che tra il sonno sereno e la gioiosa veglia sono solito trascorrere nelle gallerie, in quelle gallerie calcolate giusto per me, per distendermi piacevolmente, per rotolarmi come un bambino, per starmene lì a sognare, per dormire beato?

Nella mia vita ho sempre fatto troppe pause sul lavoro…

Non sono mai stato assetato di conquiste e aggressivo.

Lo scavo dovrebbe portarmi la certezza? Sono al punto di non volere neppure più la certezza.

Quando vivo tranquillo ed il pericolo non incombe immediatamente su di me, sono in grado di fare ogni genere di lavori impegnativi…

A proposito di metafore, vedo che immediatamente prima della Tana, nel mio libro viene un brevissimo testo intitolato appunto Delle metafore. Riporto le ultime righe:

Al che uno disse: “Perché riluttare? Se assecondaste le metafore, diventereste metafore voi stessi e sareste così già affrancati dalla quotidiana fatica”.

Un altro disse: “Scommetto che anche questa è una metafora”.

Il primo disse: “Hai vinto”.

Il secondo disse: “Purtroppo solo nella metafora”.

Il primo disse: “No, in realtà; nella metafora hai perduto”.

5/07/2012

PS. 18/09/2014 – Rivedendo il testo per una delle mie solite risistemazioni, aggiungo che da un paio d’anni sono stato coinvolto dal senescente ma ancora attivo Centro di cultura L’Agave di Chiavari e partecipo a delle letture (brani brevi perché la voce mi casca presto). Mi diverto e questo è già molto.