Storie

Svarianze
Sui “Buoni versi”

Buoni versi

I

Leggerà tutti i versi
quando tutti i poeti
saranno morti
e le loro storie
chiuse per sempre
in chiari libri uguali
con le vite le glosse
le chimere
e tutto l’indispensabile
per illudersi
di capire.

Scriverà buoni versi
quando tutti i suoi vecchi
saranno morti
e ricordandoli
penserà commosso
ai loro chiari sorrisi
stelle lontane
attese d’amore
mal corrisposte
tutto l’indispensabile
per piangersi
addosso.

II

Vecchio ormai più di loro
cerca ancora testardo
l’ordine estremo
che non si trova in natura
l’illusione che sembra
dare un cuore
agli ipocondriaci
l’isola sperabile e perfetta:
un mare di cristallo
con pesci rossi a frotte
un cielo sempre terso
un sole sempre giallo
che eternamente scintilla
e in tutte le conchiglie
ovviamente
la perla che brilla.

Sui «Buoni versi»

Continuo a essere incerto se sia o no una frasca, una fanfaluca, buttata sommariamente giù alla fine degli anni quaranta del secolo che fu, quando i “miei vecchi” (che allora chiamavo “i miei cari”) erano ancora vivi.

Non avevo (per scaramanzia) mai voluto metterla in bella.

Poi ai “miei cari” originari (morti ornai da cinquant’anni), se ne sono aggiunti altri altrettanto cari, e la faccenda si è fatta sempre più complicata.

Sarebbe stato facile e semplice. all’inizio della faticosa elaborazione, cambiare i “cari” in “vecchi”, ma ci ho pensato solo adesso, che sono molto più vecchio di quanto non fossero quei miei d’allora.

Testardo come tutti i vecchi (ma io lo sono sempre stato, anche da giovane, pare), ho insistito a pensare che il Poema dovesse essere revisionato e in qualche modo compiuto.

Ripetutamente ho sostituito alla prima persona la terza per tornare poi alla prima, incerto tra l’esibizione dell’ego e una scaramantica e finta oggettività, infine preferita.

Continuo anche a dubitare che resti una frasca, ma giuro che non è per ipocrisia. Sono testardo ma non scemo, credo.

Sarà vero che adesso (che sarei finalmente capace di “capire”) potrei scrivere “buoni versi”? Questo è in sostanza il problema.

Come faranno i poeti (veri?) ad essere così sicuri che i loro versi sono “buoni”? Probabilmente li fanno circolare e leggere agli amici e alla gente che conta. Per un misto di narcisismo e di umiltà, normale voglia di conferme, che anch’io avrei. Ma invece poi tendo a tenere le cose tutte per me, talpa che preferisce il buio della tana. Il che tra l’altro farebbe dubitare poi, se certe cose le rendessi note, sulle loro vecchie origini.

Non sarà che avere dei dubbi è già una prova che la faccenda non sta funzionando?

Il dubbio, che molti dicono salutare, si estende ovviamente a tutto il mio corpus poeticus ed oltre. Mi vergogno di averne messo una volta in piazza una parte, lasciandomi convincere da un amico. Ma ormai è fatta. Quest’altra parte resterà nella tana, se non altro come prova che ci ho provato.

P.S. – Mi ricordo di aver letto una volta un racconto di H. James (mi sembra che il titolo fosse proprio La perla) e di essermi compiaciuto di aver visto che anche quel grande aveva usato il tema della perla come supremo segno di perfezione. Mi pareva di essermi anche annotata la citazione, ma al solito non riesco a ritrovarla.